Riconoscimento e redistribuzione

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Riconoscimento e redistribuzione

Nel dibattito di questi ultimi mesi sul DDL Zan, molte voci hanno sostenuto che problemi come quelli presi in considerazione da questo disegno di legge non siano una priorità, e che dunque la loro risoluzione andrebbe rimandata al futuro. È dunque evidente che una parte della nostra società ritiene ancora che certe richieste politiche, quelle che scaturiscono dall’identità e dalla natura dell’esperienza soggettiva di chi le avanza, non siano degne di essere ascoltate o accolte. Ma, per fortuna, ci troviamo proprio in un’era in cui gruppi di individui, accomunati da una condizione che per troppo tempo è stata oscurata, possono e vogliono far presenti le loro necessità al resto della società.

Premesso ciò, è comunque indispensabile chiedersi, come ha fatto brillantemente la filosofa femminista Nancy Fraser in Redistribuzione o riconoscimento? Lotte di genere e disuguaglianze economiche (1), come le pretese di “riconoscimento”, che nascono dalla necessità dei soggetti di essere riconosciuti e rispettati a livello sociale, possano convivere con quelle di “redistribuzione”, che sono incentrate sull’idea che la ricchezza vada distribuita in modo diverso e che tradizionalmente hanno occupato il terreno delle rivendicazioni sociali. 


Nessuno potrà negare che entrambe le richieste sono legittime e valide, perché non tutti i problemi di identità sono problemi economici e viceversa.


Una donna nera e benestante non avanzerà certamente pretese di redistribuzione, ma potrà essere comunque vittima di razzismo. Allo stesso modo un uomo bianco, in quanto tale, godrà sempre del suo privilegio, ma potrà essere disoccupato e avere dunque difficoltà economiche. Tuttavia, bisogna anche riconoscere che qualcuno potrebbe avere bisogno di entrambe le rivendicazioni, come nel caso di un immigrato che subisce lo sfruttamento del proprio lavoro.

Questi pochi esempi, seppur semplicistici, sono sufficienti per evidenziare che è la nostra stessa società, nella sua realtà, a dimostrarci che redistribuzione e riconoscimento sono due facce della stessa medaglia: la giustizia. Essa è infatti completa solo nell’intreccio delle due, che sono rispettivamente la sua dimensione oggettiva, in quanto una distribuzione omogenea della ricchezza è l’unica che può garantire che tutti partano dalla stessa base materiale quando esprimono la propria opinione, e inter-soggettiva, perché solo il rispetto reciproco fa da deterrente della creazione di modelli di cultura istituzionalizzati che discriminano sistematicamente determinate categorie di persone. 

Dunque, le due rivendicazioni convivono, perché già in origine non sono mai state contraddittorie come le vorrebbero presentare i fautori del puro economicismo e quelli del puro culturalismo, che ritengono che la giustizia sia raggiungibile perseguendo la via redistributiva o quella di riconoscimento in modo mutuamente esclusivo.


Invece, solo se entrambe le condizioni sono soddisfatte è garantita quella che Fraser chiama “parità partecipativa”, cioè la possibilità che tutti gli individui abbiano la stessa voce in capitolo all’interno della società.


Scadere nel riduzionismo, da ambo le parti, significa irrealisticamente sostenere che si può arrivare a una dimensione collettiva egualitaria mediante una sola delle due vie della giustizia. Ma solo se nessuno è misconosciuto, e solo se nessuno è tanto ricco da sovrastare gli altri e nessuno tanto povero da non poter sopravvivere degnamente, allora ognuno potrà partecipare liberamente al dibattito pubblico, finalmente senza alcun ostacolo.





(1) N. Fraser, A. Honneth, Redistribuzione o riconoscimento? Lotte di genere e disuguaglianze economiche, Meltemi, Sesto San Giovanni, 2020.