Cos’è il fallimento?
Secondo la definizione della Treccani, il fallimento è l’insuccesso, l’errore commesso, il disastro che si manifesta, fino ad arrivare alla visione più tragica: «riconoscere l’inutilità dei propri sforzi, l’impossibilità e l’incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione» (1).
Ma come vivete il fallimento? Vi spaventa? Scatena in voi sentimenti di angoscia e vergogna? Oppure, dopo il momento della frustrazione e del dolore, lo metabolizzate? Pensate che faccia parte della vita, come una di quelle esperienze che prima o poi capiterà a chiunque?
Jack Halberstam, autore del saggio L’arte queer del fallimento, ha deciso di parlare di questo tema dandogli un valore.
L’arte del fallimento ci dimostra che fallire, appunto, è un’ arte e che come tale deve essere rivoluzionaria.
Viviamo in una società dove il pensiero positivo e la resilienza sono diventati dei mantra quotidiani.
Se non rispetti questo stile di vita sei automaticamente fuori dal successo, ed ecco che in soccorso di questo pensiero inconscio e subdolo viene in aiuto la prospettiva vincente del perdere.
Perché perdere? La domanda giusta sarebbe, invece, perché effettivamente non perdere e vincere a tutti costi, barattando integrità, benessere interiore e individualità?
Il fallimento diventa terreno di possibilità dove imparare un nuovo modo di esistere nel mondo e con il mondo.
Ciò che danneggia l’esistenza di ogni individuo è pensare di potercela fare contando solo sulle proprie forze, o meglio, pensare di affidarsi solo alla volontà di potercela fare: io posso tutto!
L’autore, però, ci invita a riflettere sul terreno in cui ci muoviamo: abitiamo e alimentano una società capitalista devota alla produttività dove chi riesce a realizzarsi parte da condizioni più che favorevoli.
In sostanza, non è vero che basta essere positivi per realizzarsi nella felicità. Allora, per imparare questo nuovo modo di stare al mondo bisogna osservare i deboli, le minorità ai margini di questo sistema che del fallimento fanno il loro punto di forza.
Non solo fallire aiuta a rimettersi in gioco, ma fallire libera dal senso di colpa e smaschera i limiti di una società nociva. Prendere coscienza della non accettazione sociale del fallimento, del suo rifiuto come se fosse da imputare a prescindere all’incapacità, è utile a scoprire davvero chi siamo e che strada vogliamo percorrere, liberandoci dal fantasma delle omologazioni.
Parola d’ordine: fallire! Ovvero accettare in leggerezza la finitezza, l’essere impreparati, imbranati senza risolversi, senza la cura, il rimedio e vedere dove porta tutto questo.
Il fallimento per Halberstam è, quindi, attivo e decostruzionista del pensiero del successo.
Richiede partecipazione, estro, presenza e consapevolezza.
Fallire è un modo di reagire alla piattezza di un mondo fittizio e non autentico che lascia fuori dal suo schema tutto ciò che risulta un errore, un fallito, un insuccesso.
J. Halberstam, L’arte queer del fallimento, trad. ita Goffredo Polizzi, Minimum fax, Roma, 2021.
Grazie a Minimum fax!
(1) https://www.treccani.it/vocabolario/fallimento/
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