Un immaginario che procede oltre i confini dell’umano: la fine della supremazia antropocentrica, il superamento del corpo, l’ibridazione tra uomo e macchina. Il pensiero di Donna Haraway è straordinariamente complesso e articolato.
Ramificazioni, connessioni, tentacoli: il procedere della sua filosofia, dal cyber-femminismo allo Chthulucene, non segue un’unica strada maestra, ma si inoltra in percorsi secondari, terreni inesplorati dove le idee germinano feconde, stimolate dal rapporto con le creature animali che proprio in quelle deviazioni dallo sguardo normale abitano.
Primati, cani, piccioni, topi da laboratorio: destreggiarsi tra le creature di Haraway è un’avventura affascinante e, al contempo, una sfida.
Bestiario Haraway, per un femminismo multispecie (1), di Federica Timeto, raccoglie in modo sistematico e critico la storia di queste creature, evidenziandone l’importanza per il pensiero della filosofa statunitense e integrando il discorso con una visione radicalmente antispecista.
Se, di norma, i bestiari sono uno spazio di addomesticamento, dove gli animali sono oggetti osservati dalla supremazia dell’occhio umano, così non è per Timeto: il suo bestiario, capitolo dopo capitolo, ha l’obiettivo di riscattare la soggettività dell’animale, riconoscendolo come agente in un mondo non più dominato dalle logiche dell’antropocentrismo.
La relazione tra uomo e animale è viziata dalle pratiche rappresentative, economiche e tecno-scientifiche che hanno ridotto il secondo a strumento del primo. Uomo e animale intrattengono un rapporto squilibrato, dominato da logiche d’interesse e prevaricazione.
La prevaricazione è soprattutto quella dello sguardo: vedere è un atto a senso unico, la cui radice epistemologica è il rappresentazionalismo. Soggetto e oggetto sono tra loro opposti, in una binaria divisione di sé e altro da sé.
Al rappresentazionalismo classico Haraway, e con lei Timeto, oppone delle pratiche rappresentative diffrative: la rappresentazione è intesa come «co-implicazione fra osservatori, osservati e dispositivi di osservazione», basata su «una visione posizionata che sottrae l’umano al privilegio dell’invisibilità» (2 p22). La conoscenza è sempre situata e, come tale, mai oggettiva: lo sguardo normale dell’uomo sull’animale non è assoluto e, anzi, deve essere criticato e modificato per co-abitare il mondo e viverlo sim-poieticamente con gli altri viventi.
Così come l’opera di Haraway, anche il bestiario di Timeto ha vocazione politica: la sua prospettiva ci invita a ripensare la natura del nostro relazionarci ad altri, del nostro agire e del nostro riconoscere l’agire altrui.
Fare mondo è una questione di respons-abilità, riconoscendo le articolazioni natural-culturali del nostro abitare, la natura più profonda del concetto di relazione e le nostre pratiche rappresentative. Per vivere in un mondo infetto, bisogna radicarsi negli spazi interstiziali, stringere alleanze generative.
F. Timeto, Bestiario Haraway, per un femminismo multispecie, Mimesis, Milano, 2020.
Grazie a Mimesis Edizioni!
(1) F. Timeto, Bestiario Haraway, per un femminismo multispecie, Mimesis, Milano, 2020.
(2) Ibi, p. 22.
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