La voce di Anna Politkovskaja

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Politkovskaja

«Mi chiedo spesso se Putin sia un essere umano. O se è solo una gelida statua di ferro.
Se è un essere umano, non lo dà certo a vedere.» (1) 

Ce lo stiamo chiedendo tutte e tutti, con il fiato sospeso, in questi giorni e in queste ore. Stiamo assistendo, oltre che alle vittime della guerra e agli esodi disperati, all’arresto in territorio russo di centinaia di donne e uomini scesi in strada per manifestare il proprio dissenso nei confronti di una guerra che nessuno vuole. Ma è importante tenere alto il volume della propria voce, e far sentire la propria indignazione. Per questo motivo, oggi vogliamo parlare di una donna che, di questo dissenso, ha fatto il nucleo della propria vita e del proprio lavoro.


Di Anna Politkovskaja si è detto, scritto, analizzato, commentato, eppure non lo si è fatto abbastanza.


E non per carenza di mezzi o di volontà, ma perché non potrà mai dirsi abbastanza di una donna che ha denunciato per tutta la vita le nefandezze e le ingiustizie di un intero sistema socio-politico-economico, quello della Federazione Russa di Vladimir Putin, e che poi il 7 ottobre del 2006, rientrando con le buste della spesa nel suo condominio, viene brutalmente uccisa non con uno, ma con ben cinque colpi di pistola. Il sicario la raggiunge a viso scoperto, incurante delle telecamere di sorveglianza, prende la mira e centra immediatamente il suo obiettivo, al primo colpo. Gli altri quattro colpi sono semplicemente ulteriore crudeltà, orrore, disumanità. Perché è così che questo sistema agisce. 

Anna Politkovskaja muore con la consapevolezza di essere destinata a morire, con una condanna che le grava sulla testa da ormai tanti anni, durante i quali si sono già susseguiti dei tentativi di avvelenamento ed esecuzioni simulate non andati a buon fine. Muore nel centro di Mosca. Doveva essere eliminata già da troppo tempo, ed è per questo che la reazione internazionale è fin troppo tiepida: la notizia, in un certo senso, non c’è. Si sapeva già


Ma, oltre che della sua morte, vogliamo parlare anche della sua vita, perché ha instancabilmente prodotto dei documenti importantissimi, non solo da un punto di vista giornalistico, ma storico-politico, per chiunque voglia saperne qualcosa in più sulla Russia di Putin. 


Laureatasi nel 1980 in giornalismo presso l’università statale di Mosca, dopo aver lavorato in diverse redazioni approda alla Novaja Gazeta nel 1999. Dimostra da subito un incredibile coraggio, recandosi di continuo in zone di guerra, in particolar modo in Cecenia, e dalle colonne dei suoi articoli consente finalmente alle vittime di avere voce in capitolo: vittime di ingiustizie perpetrate dalla macchina statale russa, madri che cercano disperate dei figli scomparsi nel nulla, rinchiusi o morti chissà dove. Ma non basta, perché Politkovskaja fornisce aiuti umanitari attivamente e in prima persona e offre la propria disponibilità anche per raccontare storie che, di solito, nessuno vuole o si azzarda a raccontare.


La sua audacia squarcia un velo di paure e omissioni che attanaglia un Paese schiavo delle proprie debolezze.


Il suo modus operandi, tuttavia, non contempla – non solo, almeno – pagine vibranti di denuncia a chiare lettere del regime di Putin, ma include decine, centinaia di storie di vita comune, nomi e volti sconosciuti dall’opinione pubblica e dalla stampa internazionale, esseri umani che hanno sperimentato sulla propria pelle ingiustizie e affronti, e prestano il proprio corpo alla penna di questa giornalista

È importante, allora, che anche noi nel nostro piccolo non prestiamo attenzione solo a numeri e statistiche di questa guerra in corso, ma che osserviamo e restituiamo –  con questo gesto – dignità alle donne e agli uomini che si sono trovati coinvolti loro malgrado in questo conflitto. 





(1) A. Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi, Milano 2005, p. 41.

Immagine di copertina: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Anna_Politkovskaja_im_Gespr%C3%A4ch_mit_Christhard_L%C3%A4pple.jpg