Ayn Rand: una ribelle tra cinema, arte e distopia

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Era il 1905 quando scoppiò la Prima rivoluzione russa.

Da lì alla Rivoluzione d’ottobre, che portò i bolscevichi al potere, e poi all’instaurazione del Regime sovietico, il passo fu molto breve, quasi impercettibile. Proprio nello stesso anno, a San Pietroburgo, nasceva Alisa Zinov’evna Rozenbaum, e non poteva esserci coincidenza più sfortunata per lei che nascere in un momento e in un posto contro cui lotterà per tutta la vita con tutte le forze. 

Ayn Rand è, infatti, «venuta al mondo con la letteratura nel sangue, il cinema negli occhi e l’audacia nel cuore» (1) e quando, nel 1926, con un visto per l’espatrio, riesce a lasciare la Russia per l’America, giura a se stessa che mai e poi mai avrebbe fatto ritorno nel suo Paese natale (2).

Iscrittasi prima alla facoltà di Storia e Filosofia e, dopo il diploma, alla Scuola Superiore di arti applicate per studiare cinema, Ayn Rand fa della filosofia e dell’arte la chiave di volta attraverso la quale comprendere il mondo, svelandone distorsioni e tragicità. 

«L’arte è una ricreazione selettiva della realtà secondo i giudizi di valore metafisico dell’artista[…]. In questo senso l’arte insegna all’uomo come usare la sua coscienza» (3). 

È proprio a partire da questo ideale che Rand, dopo sette anni di intenso lavoro di scrittura, pubblica il suo primo romanzo: Noi, vivi, una sorta di autobiografia intellettuale in cui svela «il conflitto tra individualismo e collettivismo non nella politica ma nell’anima umana» (4).

I personaggi e le vicende dei suoi romanzi, infatti, si costruiscono attraversando continue polarità: tra autonomia ed eteronomia, tra pensare e obbedire, tra coraggio e sfiducia, tra l’Io e gli Altri, sino al grande conflitto di libertà e oppressione.

È nei suoi romanzi che la filosofia randiana prende forma, una filosofia che, guidata dall’influenza di Nietzsche e delle 3A (Aristotele, Agostino e Ayn Rand stessa), combatte la deriva metafisica con l’oggettivismo e la perdita dell’Io nel collettivismo con la centralità dell’egoismo e dell’individualità.

«L’arte non è il mezzo per alcun fine didattico, suo scopo fondamentale è quello di mostrare – per offrire all’uomo un’immagine concreta della sua natura e il suo posto nell’universo» (5).

“Proporre un’idea di uomo e di umanità”, è questo il filo rosso che si muove tra i romanzi randiani, in cui i protagonisti attraversano mondi distopici e abbruttiti cercando la propria identità in opposizione al collettivismo che taglia fuori dal mondo qualsiasi individualità.

E se in Noi, vivi il tema centrale è la lotta allo Stato, salvare il singolo dal livellamento della collettività è il tema centrale dei successivi romanzi distopici – Antifona e La rivolta di Atlante in cui emerge, a tratti sempre più delineati, l’egoismo radicale di Rand.

Come un moderno Prometeo, i protagonisti dei romanzi di Rand tessono le loro storie spinti nella lotta contro le nuove divinità (il collettivo, la religione di Stato, il sacrificio del singolo per la comunità) con la sola forza dell’intelligenza e con l’eroismo del singolo uomo che vive e ha fine in sé. 

Ne è un esempio, in Antifona, Uguaglianza 7-2521, un outsider e ribelle in un mondo grigio e arretrato dove persino il linguaggio è piegato alla distruzione dell’autonomia e dell’individualità: la parola “io” è eliminata in favore della parola “noi”, non esistono nomi e persino l’amore è bandito perché minerebbe l’anonimato in favore dell’identità.

Condannato a morte per aver osato disubbidire alla collettività e aver inventato, col suo ingegno, l’elettricità, Uguaglianza fugge via dalla città per trovare La fonte meravigliosa (6): la propria singolarità.

Dal momento che «ciò che non è pensato da tutti gli uomini non può essere vero, e ciò che non è fatto collettivamente non può essere buono» (7), il protagonista, ormai in pericolo di vita, si ripara nella Foresta Inesplorata, un luogo abbandonato appartenente ad una vecchia civiltà dove, lavorando solo per se stesso e vivendo per sé, scopre la bellezza della libertà e il potere della parola «Io», rinvenuta in un vecchio libro impolverato.

Viene in questo modo a definirsi la teoria dell’egoismo radicale di Rand «nel suo reale significato, in cui l’uomo è ciò che dovrebbe essere: autosufficiente, fiducioso in se stesso, il fine dei fini, la ragione per sé» (8).

È a partire dall’oggettività del reale, dall’esistenza di singolarità e non dall’astrazione comunitaria, che bisogna ricercare il valore dell’umanità. 

Alla base della filosofia di Rand, cioè, sta un assunto di fondo: «che l’uomo ha dei diritti inalienabili che non gli possono essere sottratti da nessuno e che, pertanto, ogni uomo esiste per il suo diritto e il suo bene e non per la massa, che è invece il non-uomo» (9), l’indifferente.

  1. Diana Thermes, Ayn Rand e il fascismo eterno. Una narrazione distopica, IBL Libri, Torino, 2021, p. 33.
  2. Wolfram Eilenberger, Le visionarie: 1933-1943. Arendt, De Beauvoir, Rand, Weil e il pensiero della libertà, Feltrinelli editore, Milano, 2021, p.35.
  3. Ayn Rand, Art and Cognition, in The Romantic Manifesto, p. 45.
  4. Cfr. Wolfram Eilenberger, Le visionarie: 1933-1943. Arendt, De Beauvoir, Rand, Weil e il pensiero della libertà, Feltrinelli editore, Milano, 2021, p. 34.
  5. Diana Thermes, Ayn Rand e il fascismo eterno. Una narrazione distopica, IBL Libri, Torino, 2021, p. 56.
  6. Romanzo di Ayn Rand, 1943.
  7. Cfr. Ayn Rand, Antifona, Liberilibri, Firenze, 2003, p. 67.
  8. Cfr. Diana Thermes, Ayn Rand e il fascismo eterno. Una narrazione distopica, IBL Libri, Torino, 2021, pp. 68-69.
  9. Ibidem.