I corpi delle donne sono sotto attacco, ora e come sempre. Sono strumenti al servizio di intenti riproduttivi altrui, mai corpi liberi di avere i propri effetti e tessere le proprie relazioni. Nell’impossibilità di tirare le fila di un fenomeno così complesso, radicato e secolare, potrebbe comunque essere utile rintracciare uno degli eventi simbolici che più vi ha contribuito, e che continua a sottendere ad esso: la concezione del corpo come una macchina.
Affinché sia docile e controllabile, un corpo non può essere la potente e irriducibile entità che invece conosciamo.
Deve essere trasformato in un insieme di parti funzionali, ognuna dedita a un certo fine. Il corpo come somma di parti risulta così governabile perché può essere studiato nei minimi dettagli, o sarebbe meglio dire vivisezionato, quindi conosciuto, e impossibilitato a qualsiasi deviazione. Laddove quest’ultima si determinasse, esisterebbe solo come rinforzo dell’ordine stabilito, perché verrebbe utilizzata per dimostrare che può essere sempre riportata entro esso.
Ma la macchina corporea non è solo potenzialmente controllabile, lo è necessariamente.
Precedentemente, il corpo era inteso come un organismo vitale che ha in sé la propria spinta d’azione. Ciò non accade per il corpo-macchina, che viene distaccato dalla mente, e sottoposto alla stessa. Esso diventa così esclusivamente lo strumento della ragione, perché è quest’ultima che indirizza tutte le sue parti al giusto funzionamento. La metafora macchinica giustifica che il corpo non sia più dipendente da sé, ma da un controllo esterno, che ovviamente non viene mai identificato con l’anima femminile, sempre irrequieta, quanto piuttosto con la razionale mente maschile.
Il cambiamento simbolico dato dall’unione di meccanicismo e dualismo mente-corpo, che può essere rintracciato in filosofi come Hobbes o Descartes, è all’origine del controllo degli assemblaggi che compongono reale. Carolyn Merchant afferma esplicitamente che la riconcettualizzazione del reale in chiave meccanicistica «ha sancito il controllo sia della natura che delle donne» (1). Ma in realtà sono proprio queste ultime a subire per prime una sovradeterminazione, perché come spiega Silvia Federici «[…] i percorsi della filosofia meccanica hanno contribuito al crescente controllo della classe dominante sulla natura, di cui la prima e indispensabile premessa era il controllo sulla natura umana» (2).
E controllare la natura umana significa in primis controllarne le attività riproduttive, da cui la subordinazione della parte più funzionale del corpo femminile: l’utero.
Dunque, che la concezione meccanicistica e strumentale è particolarmente infausta per le donne, identificate come coloro che portano con sé la potenzialità di generare altre macchine, altri corpi da controllare. Per questo è bene mettere in luce questa lente di interpretazione del reale, in modo da individuarne gli effetti, e aprirci la possibilità di elaborarne una nuova.
(1) C. Merchant, The death of nature. Women, ecology and the scientific revolution, Harper & Row, New York, 1989, p. XXI.
(2) S. Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2015.
Immagine di copertina: https://www.whoswhoofprofessionalwomen.com/listee-features/carolyn-merchant/
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