Il fronte psichico. Inchiesta sulla salute mentale degli italiani
Esperienze personali o, per meglio dire, familiari mi hanno portato spesso ad approfondire nello studio o anche semplicemente a riflettere sul tema della salute mentale. Per questo Il fronte psichico. Inchiesta sulla salute mentale degli italiani mi ha attratta immediatamente.
Questo libro della giornalista Jessica Mariana Masucci è effettivamente molto interessante e, nonostante la serietà di certi temi e il ricorso a dati e percentuali, risulta essere scorrevole e coinvolgente.
Una grande capacità di scrittura va di pari passo con un preciso utilizzo di statistiche e con la precisa volontà di non banalizzare e di non semplificare mai troppo.
D’altronde non si può semplificare qualcosa di così complicato come la nostra mente, che conserva ancora oggi, nonostante i progressi scientifici, un’aura misteriosa.
I vari capitoli di Il fronte psichico analizzano numerose tematiche mostrando la situazione attuale in Italia relativamente ai temi di salute mentale.
Nel primo si approfondisce soprattutto l’approccio della politica italiana e la questione dei finanziamenti. Si può intuire che non siamo in una bella situazione: lo Stato e le regioni investono pochissimo, in linea generale, sulla salute mentale e il personale è scarso confrontato alla mole di pazienti.
Il capitolo successivo tratta la questione delle cure farmaceutiche, la loro storia ed evoluzione e ci mostra anche nuovi sorprendenti trattamenti. Anche in questo caso, l’Italia non dimostra di essere “avanti”, continuando ad usare rimedi a volte discutibili, sorpassati, ma meno costosi, essendo le cure a carico del SSN.
Nella terza parte del libro, invece, ci si concentra sulle nuove prospettive del trattamento psicologico, riassumibili nel concetto di Digital Health: pillole che – tramite determinate tecnologie – eseguono diagnosi, piattaforme di prenotazione, ma anche quella che viene chiamata “telemedicina”.
In Italia viene utilizzata quasi solo quest’ultima e lo si vede dalla nascita e dalla diffusione di piattaforme come Unobravo, che offrono – a prezzi molto competitivi – sedute psicologiche a distanza.
Il capitolo quattro è sempre legato al mondo digitale, poiché approfondisce la diffusione sui social media di tematiche psicologiche/psichiatriche. Infatti, non solo molte persone famose hanno iniziato a parlare online dei propri problemi, ma anche professionistə e pazientə usano i social per discutere apertamente di questioni prima tenute nascoste.
Questo è senza dubbio positivo per spronare tuttə a non vergognarsi e a non nascondersi ma ha anche i suoi lati negativi: la “normalizzazione” può portare a credere che “siamo tuttə un po’ malatə”, sminuendo la portata di alcuni disturbi psichici e uniformando tutto in un unico potpourri.
Masucci, con questo suo mostrarci i rischi, non vuole relativizzare, ma metterci al corrente di come sia sbagliato tenere verso tali temi approcci univoci e semplicistici: è profondamente sbagliato per la natura in sé di quanto trattato.
La quinta e sesta parte del libro non sono meno interessanti e in qualche modo ci coinvolgono tuttə, poiché parlano dei legami tra salute mentale e vita lavorativa.
Alcuni lavori paiono particolarmente logoranti per i soggetti, spesso a causa delle aspettative enormi dei clienti, ma non solo. Questo dovrebbe farci ragionare su quanto sia difficile, alle volte, vivere in un mondo così competitivo, così stressante, con pretese così alte.
È vero: le aziende ultimamente sono più attente a tali temi, ma spesso si limitano a fornire coach (dai dubbi titoli) o sportelli psicologici ai propri dipendenti senza cambiare, per davvero, il sistema in sé, che è profondamente marcio.
La tesi della giornalista, insomma, è che la salute mentale non è solo qualcosa di privato, non è solo causata da problematiche cerebrali, neurologiche o ormonali o da traumi personali, ma la società, quello che ci circonda, influisce sicuramente sulla nostra psiche.
Ciò risulta evidenziato dal capitolo successivo, il sette: Migranti, detenuti, senza casa: l’ultima linea. Questa parte ci fa riflettere sull’importanza di investire – in tutti i sensi, non solo economicamente – su queste tematiche a livello statale, perché non tuttə si possono permettere di fare affidamento su professionistə privatə da pagare di tasca propria e, anche chi può, potrebbe avere bisogno, prima o poi, di ricorrere alla sanità pubblica.
Se non vengono aiutate le categorie più disagiate, come persone migranti, detenutə e/o senzatetto, il rischio è sempre quello di incentivare il crimine o di portare chi ha già commesso crimini a reiterarli.
Insomma, è fondamentale l’intervento delle istituzioni, le quali
«possono e devono finanziare di più questo settore, ma non serve solo stanziare soldi: potrebbe non bastare mai, se parallelamente le disuguaglianze sociali aumentassero, se l’inclusione e la coesione sociale non facessero passi in avanti. E non basta a livello individuale potersi permettere le terapie, anche quelle più innovative, se non ci si riappropria della dimensione collettiva della mente. Farsi avanti, per sé e per gli altri, ricordandosi che il benessere mentale non dipende solo da quanti minuti di meditazione faccio ogni giorno o da quanto spendo in psicoterapia ogni anno, ma anche dalla dimensione sociale e politica della mia vita» (1).
Grazie nottetempo!
(1) Ivi, p.177.
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