Quello di Cura è un significante talmente ampio da diventare pericoloso: può essere suscettibile di innumerevoli variazioni di significato, e quindi egemonizzato per scopi politici ed etici diversissimi. Basta guardare ai due principali filoni che si sono occupati della cura per rendersene immediatamente conto.
Da un lato, quello dell’etica della cura, inaugurato da Carol Gilligan con il suo seminale Con voce di donna (1) che ha presentato al mondo l’idea di un’etica alternativa a quella della giustizia, ma che viene relegata nel patriarcato ai soggetti sessualizzati come donne, mentre può, anzi deve, essere allargata a chiunque. Dall’altro, il filone della riproduzione sociale (2), che identifica quello di cura come un lavoro essenziale alla società – senza di esso, non si darebbe null’altro – che viene però sistematicamente misconosciuto o nascosto.
Nonostante questi siano i due pilastri del discorso sulla cura, tanti altri sono i modi in cui può essere declinato, tra cui quello specificamente transfemminista ad ecologico, che troviamo nei vari saggi contenuti in Ecologie della cura, edito da Orthotes (3).
La raccolta esplicita sin da subito il suo obiettivo di analizzare i meccanismi sottesi alla cura, per rendere conto di come una prospettiva soluzionista (4), che si aggrappa a singole istanziazioni della stessa e le risolve, non sia sufficiente. C’è infatti bisogno di decostruire completamente la dimensione riproduttiva, per rimetterla in moto secondo nuovi paradigmi e obiettivi.
Compiere un’opera di questa magnitudine non è affatto facile. Il rischio è innanzitutto quello di farsi trasportare dall’aspetto emozionale della cura, dimenticando il lato oscuro della stessa. Come spiegano Olivia (Oli) Fiorilli e Márcia Leite (5), le esperienze delle persone trans e non binarie con la cura sono spesso declinate sotto il segno della salute (pensiamo ai trattamenti ormonali di affermazione del genere), e risultano particolarmente oppressive, se non addirittura nefaste.
Una delle proposte più radicali del volume è proprio la necessità di dislocare la cura dai centri di potere in cui è stata finora relegata, per riportarla nelle mani di chi la riceve. Già Joan Tronto aveva descritto la fase del care-recieveing, in cui lə riceventə “giudica” il servizio erogato, come uno dei passaggi centrali di ogni lavoro di cura. La sfida, ora, è quella di dare priorità a questo passaggio, per scuotere le basi razziali, eterosessiste e abiliste che infettano la cura attuale.
Ma, si sa, una prospettiva transfemminista deve anche fare i conti con i propri limiti.
Per questo, Macka Ghebremariam Tesfaù (6), nel suo saggio, rende ben manifesto quanto ci sia bisogno di ascoltare e mettere a tema le esperienze di cura peculiari delle donne nere. Come aveva spiegato brillantemente bell hooks (7), mentre le donne bianche sentono la necessità di emanciparsi dal lavoro domestico e dalla dimensione casalinga, quest’ultima è sempre stata fonte di soggettivazione per le donne nere, un luogo in cui potersi definire al di là delle imposizioni razziste che egemonizzano il resto della società, e in cui poter permettere anche al resto della famiglia di autodeterminarsi, per mezzo degli affetti. Di conseguenza, molte delle categorie concettuali elaborate nel corso degli studi sulla cura non tengono conto di un’esperienza ampiamente diffusa, e contribuiscono ad oscurarla ulteriormente.
Un’altra linea particolarmente interessante è quella aperta nella raccolta da Laura Centemeri (8). Ella sostiene che vedere la cura solo in termini di lavoro ci priva di un’enorme possibilità, ossia quella di interpretarla come una nuova logica di relazione.
Fare ciò porterebbe infatti «a rivendicare la rilevanza, nei modi di organizzare la società, di forme concrete di valutazione e valorizzazione delle interdipendenze vitali, in quanto indispensabili in una società che aspiri a essere giusta in modo umano, vivibile e ecologicamente sostenibile» (9). La logica della cura sarebbe la nuova guida di un modo d’azione fondato sul riconoscimento di un’ontologia pienamente relazionale, che riconosce l’interdipendenza come dato di fatto della realtà dei corpi, umani e non, e quindi la necessità di una vita intrinsecamente ecologica.
Dunque, se tracciare le fila di tutti i discorsi sulla cura può risultare particolarmente difficoltoso e dispersivo, Ecologie della cura permette sicuramente di fare il punto su ciò che è stato fatto finora e su ciò che invece si dovrebbe fare al fine di elaborare teorie e pratiche della cura transfemministe ed ecologiche, in una parola, inclusive.
M. Fragnito, M. Tola, Ecologie della cura. Prospettive transfemministe, Orthotes, Salerno, 2021.
Grazie a Orthotes!
(1) C. Gilligan, Con voce di donna: etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano, 1987. Ne abbiamo parlato qui https://www.filosofemme.it/2019/04/30/per-unetica-femminile/
(2) https://www.filosofemme.it/2022/05/09/la-teoria-della-riproduzione-sociale/
(3) M. Fragnito, M. Tola, Ecologie della cura. Prospettive transfemministe, Orthotes, Salerno, 2021.
(4) Ivi, pp. 13-14.
(5) Ivi, pp. 129-141.
(6) Ivi, pp. 89-100.
(7) bell hooks, Casa: un sito di resistenza, in Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli, Milano, 1998, pp. 25-35.
(8) M. Fragnito, M. Tola, Ecologie della cura. Prospettive transfemministe, cit., pp. 75-87.
(9) Ivi, p. 77.
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