Negli ultimi mesi hanno fatto molto discutere le azioni portate avanti da Ultima Generazione, consistenti nell’“imbrattare” o nell’“incollarsi” ad alcune delle opere d’arte più famose – da Van Gogh a Botticelli – in segno di protesta contro i cambiamenti climatici (1).
A ciò ha fatto solitamente seguito una reazione di indignazione e di condanna verso quello che a molte persone è apparso come mero e ingiustificabile vandalismo. Questa visione si scontra però con le rivendicazioni dellз attivistз, impegnatз a promuovere ciò che loro definiscono una campagna di disobbedienza civile finalizzata a ottenere risposte politiche concrete contro la crisi climatica e ambientale (2).
Pertanto viene da chiedersi se considerare simili azioni come semplice vandalismo non sia troppo semplicistico e riduttivo, e se invece queste proteste possano effettivamente ritenersi una forma di dissenso e di disobbedienza, indirizzate a far luce su un problema collettivo più grande.
Stabilire cosa sia o non sia disobbedienza civile non è sempre un compito facile; tuttavia è possibile individuare alcuni criteri di base che permettono di meglio definire e delimitare questo concetto: non solo illegalità, ma anche “coscienziosità”, comunicabilità, pubblicità o visibilità, non violenza e non evasione dalle responsabilità (3). Questa è infatti la concezione standard di disobbedienza civile che indica l’insieme di azioni di protesta illegali ma “civili”, volte a criticare e modificare quelle leggi o quel sistema politico considerati ingiusti.
Nel caso delle proteste nei musei è possibile riscontrare alcune delle caratteristiche sopraelencate, come la violazione di una legge (illegalità), la copertura mediatica (pubblicità), la motivazione politica (coscienziosità), l’intento di trasmettere un messaggio preciso (comunicabilità), l’accettazione delle conseguenze legali (non evasione).
Alcune azioni di attivismo climatico sembrano quindi collocarsi in una zona di confine tra “vandalismo” e disobbedienza.
Sciogliere simili questioni è tutt’altro che semplice, ma una riflessione più approfondita sembra necessaria per evitare il pericolo della cosiddetta “tolleranza repressiva”.
Quest’espressione, coniata da Herbert Marcuse (4), può indicare il tentativo da parte di un governo di reprimere le proteste che sono percepite come maggiormente pericolose per la sua tenuta, etichettandole e condannandole come “violente” o “incivili”, e tollerando solamente le rivendicazioni meno dirompenti (5).
Sulla stessa scia, limitarsi a criticare e condannare gli “imbrattamenti” come vandalismo porta con sé il pericolo di scivolare – intenzionalmente o meno – in un simile meccanismo, col rischio di arginare una protesta “scomoda” e di sviare l’attenzione dai suoi obiettivi più profondi.
La riflessione filosofica sulla disobbedienza civile invita anche nel caso delle proteste nei musei a procedere con cautela, non per accettare o giustificare necessariamente questi gesti, ma per non perdere di vista il reale problema che essi intendono sollevare e denunciare: quello dell’emergenza climatica e ambientale.
(2) Home | Ultima Generazione (ultima-generazione.com)
(3) C. Delmas, K. Brownlee, Civil Disobedience, Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2021:
https://plato.stanford.edu/archives/win2021/entries/civil-disobedience/
(4) R.P. Wolff, B. Moore Jr., H. Marcuse, A Critique of Pure Tolerance, Beacon Press, 1965.
(5) R. Celikates, Democratizing civil disobedience, Philosophy and Social Criticism, 2016.
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