Femminismo terrone

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Una componente fondamentale del femminismo e, in generale, degli studi sociologici sulle discriminazioni è l’intersezionalità, vale a dire l’analisi degli intrecci tra i molteplici assi che agiscono in modo determinante sulle oppressioni subite dai gruppi marginalizzati. Difficilmente, infatti, si rintracciano motivazioni univoche alla base delle manifestazioni d’odio, molto più spesso si verifica una compresenza di elementi e fattori.

Il merito di Claudia Fauzia e Valentina Amenta, con il loro Femminismo terrone. Per un’alleanza dei margini, è di aver fatto luce su un asse dotato di scarsa visibilità all’interno del femminismo italiano: l’antimeridionalismo. 

Il testo può essere idealmente diviso in due parti trasversali, una pars destruens e una pars construens, anche se la distinzione non è rigida e anzi viene armonicamente scandagliata in tutti i capitoli. 

Nella prima parte si trova una lucida denuncia delle dinamiche di potere che sottendono al modo in cui si guarda al Meridione. Patriarcato, colonialismo e capitalismo si intersecano e si alimentano a vicenda tenendo in piedi un secolare e complesso sistema di disuguaglianze: il Nord assurge a ideale di modernità e progresso, cui il Sud è violentemente costretto ad adattarsi, e nella difficoltà a riuscirvi è rintracciato l’atteggiamento stereotipato di pigrizia, indolenza, ignoranza e conservatorismo, piuttosto che una dannosa discriminazione che non tiene in alcuna considerazione le particolarità e le sfaccettature del Meridione. Come sottolineano le autrici:

«Proprio l’accusa di “passività” risulta funzionale alla dominazione di un popolo perché attribuisce come colpa ciò che in realtà è una conseguenza di un sistema discriminatorio. La passività è infatti una reazione alla mancanza di possibilità di autodeterminazione: essere passivɜ significa subire decisioni, criteri e imposizioni di modelli altrui». (1)

A tal proposito, Fauzia e Amenta parlano di North gaze, in analogia col concetto di male gaze, che descrive lo sguardo oggettificante nella rappresentazione delle donne. Leggere il Meridione tramite il North gaze significa adottare una norma parametrica di efficienza produttiva in chiave universale, tramite la quale valutare esperienze e modi di vita.

Il Sud diventa così un Altro da rendere simile al Sé egemonico della nazione, corrispondente al Nord in quanto metafora geografica di progresso, e sono le terrone e i terroni stessi ad aver interiorizzato questo paradigma e a voler assomigliare ai settentrionali.

A fronte di tale denuncia, e in questo risiede la parte costruttiva del testo, il femminismo terrone si configura però come una proposta convinta e rivoluzionaria, animata da tre principali direttrici.

La prima è una riflessione responsabile sulle basi comuni dell’oppressione del Sud Italia e dei Sud del mondo, insieme a una visione decoloniale del Meridione, che presuppone una lotta collettiva strettamente legata alla pluralità dei contesti, al di fuori di ogni violenta prospettiva sviluppista:

«Il femminismo terrone intende sottrarre la Questione meridionale al recinto ristretto dei poteri nazionali e collocarla all’interno delle più ampie dinamiche del sistema-mondo coloniale. Per questa ragione, incarna un posizionamento politico necessariamente decoloniale e transnazionale: la sua stessa esistenza resiste alla presunta omogeneità nazionale e al concetto stesso di nazione come principio escludente». (2)

Uno strumento importante in questo senso è l’operazione di recupero di “contro-memorie”, cioè di storie, luoghi e persone della resistenza considerate marginali dalla storia ufficiale, come Maria Occhipinti, attivista anarchica siciliana che si è spesa contro le ingiustizie e le stereotipizzazioni, Rosa Balistreri, una “attivista che faceva comizi con la chitarra”, rievocando canzoni popolari siciliane, e Franca Viola, che ha sfidato con coraggio il potere mafioso e un potente sistema di convenzioni sociali denunciando una violenza sessuale. (3)

La seconda anima della proposta si configura come un deciso contrasto alla visione oggettificante ed esotizzante del Meridione, troppo spesso descritto come un luogo stupendo abitato da persone indisciplinate e ignoranti, in un racconto che si autoproclama origine e giustificazione della subalternità:

«Disprezzato in tv e sui social, il Meridione esotizzato diventa il palcoscenico in cui va in scena la vita altrui: le persone meridionali non sono altro che comparse nei sogni di chi ha troppi soldi. Proprio questo controsenso ispira frasi antimeridionaliste come “il Sud è bello, il problema è chi lo abita”». (4)

Al contrario, il femminismo terrone opera in favore di una visione che renda giustizia alla complessità del territorio, e che ne evidenzi le contraddizioni e i danni causati dall’adattamento al modello di modernità settentrionale.

Terza e ultima direttrice è lo studio dell’uso della lingua: l’utilizzo del dialetto o di un accento regionale non risolverà le disparità territoriali, ma riafferma sicuramente una ricchezza linguistica spesso taciuta:

«Le nostre lingue sghembe, le vocali troppo aperte o troppo chiuse, i nostri verbi fieramente transitivi: tutto questo ci porta nel mondo con orgoglio, come terronɜ con accento». (5)

Ben oltre un sentimento di vergogna, dunque, che rappresenta l’ennesima violenza che le persone meridionali subiscono e interiorizzano, l’accento terrone può contribuire all’invenzione di un lessico della non subalternità, costituendosi come un valido ausilio contro l’oppressione antimeridionale, all’interno di un inesorabile processo di omologazione culturale e linguistica che cancella le identità collettive.

L’accento può avere un ruolo rivoluzionario per una persona meridionale, perché «è una bussola ostinata / che le indica sempre / la direzione di casa» (6).

Grazie Edizioni Tlon!

Claudia Fauzia, Valentina Amenta, Femminismo terrone. Per un’alleanza dei margini, Edizioni Tlon, 2024

(1) Claudia Fauzia, Valentina Amenta, Femminismo terrone. Per un’alleanza dei margini, Edizioni Tlon, 2024, p. 28;

(2) Ivi, pp. 9-10;

(3) Cfr. pp. 97-113;

(4) Ivi, p. 77;

(5) Ivi, p.131;

(6) Ivi, p. 137.