L’anima umana ha sete di bellezza, ed è un desiderio assolutamente naturale, precedente a qualsiasi educazione estetica, quindi uno slancio innato, un magnetismo per tutto ciò che è bello.
Un tramonto, un cielo stellato, un giardino fiorito, incantano e seducono un po’ tutti e non solo le anime più sensibili; un corpo perfetto, una persona dallo sguardo intenso, un portamento elegante, colpiscono la nostra attenzione.
Così i nostri occhi non si stancano di ammirare la fonte ammaliatrice e l’udito non si stanca di ascoltare una musica che risveglia e suscita sensazioni di pace e di armonia.
L’estetica, come disciplina autonoma nell’ambito degli studi filosofici, nasce solo nel XVIII secolo. Tuttavia, i temi estetici sono stati affrontati dal pensiero filosofico fin dalle sue origini. Le riflessioni sul bello e sulla bellezza, affermatesi nell’antichità, hanno condizionato per secoli il dibattito e le posizioni teoriche dell’Occidente.
È un pensiero assai diffuso che nel mondo della moda, della televisione o del cinema, dove la bellezza è un valore predominante, spesso manchi ogni relazione alla moralità o al bene. Ciò non accadeva nel mondo classico: per i Greci, infatti, l’armonia e la bellezza esteriore erano espressione della perfezione morale.
Nella poesia dell’età arcaica la bellezza si delineava come manifestazione del vero e il poeta era considerato maestro di verità, in grado di vedere e di conoscere l’oltre, cioè di cogliere ciò che gli altri non potranno mai comprendere.
Un secondo modello classico associa la bellezza non solo alla verità, ma anche e soprattutto al bene.
Così ciò che è bello (kalós) è anche buono (agathós). La kalokagathia dunque rappresenta la concezione greca del bene connessa all’agire dell’uomo, secondo la quale alla virtù morale corrisponde necessariamente la bellezza fisica e si afferma quindi che vi sia una complementarità tra “bello” e “buono”.
Un terzo modello è quello della bellezza come fonte di luce e di splendore, luce folgorante che rende calma e armoniosa una realtà prima caotica e imperfetta, procurando così piacere in chi la osserva.
Secondo la descrizione di Platone nel Fedro, la bellezza si impone con tutto il suo splendore alla “beata visione e contemplazione” dell’anima. Così scrive il filosofo greco:
«La Bellezza splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto risplende in modo luminosissimo; solamente la Bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più manifesto e più amabile» (p. 250).
Inoltre per Platone la caratteristica principale del bello è quella di essere tra gli intelligibili, l’unico accessibile ai sensi.
Per cui guidato da Eros, l’uomo riesce a contemplare il Bello. Si tratta della funzione unificatrice dell’éros che ci fa tendere sempre verso ciò di cui siamo privi, ci guida all’unità, che ha come fine ultimo il raggiungimento dell’immortalità attraverso la procreazione nel bello che abita i corpi e le anime.
Ma il modello di bellezza per eccellenza, elaborato sin dalle sue origini dal pensiero greco e che sarà dominante nella cultura occidentale, è certamente l’idea della bellezza come armonia delle forme, come simmetria degli elementi che compongono un insieme; Bello è ciò che si configura come ordine e armonia, nel quale, ciascun elemento, fedele ad un principio di organizzazione, svolge una funzione ben precisa.
Anche in altre culture possiamo trovare analogie importanti nella direzione di una concezione della bellezza che sposi le virtù etiche. È un esempio la cultura giapponese, nella quale è presente una nozione molto interessante espressa dal concetto di iki che riveste un ruolo importante e suggestivo, equivalente al lógos in Occidente. Teorico di tale nozione è il filosofo giapponese Shuzo Kuki, che lo descrive come un modello di comportamento etico ed estetico insieme.
Iki indica semplicità, spontaneità e originalità, ma non solo: abbiamo anche intelligenza, audacia ed eroticità.
Dunque l’essenza dell’iki è costituita dalla seduzione. La seduzione intesa come apertura all’altro, come tensione che riduce la distanza fra i due sessi, senza però eliminarla del tutto; contrariamente all’amore la seduzione non mira alla fusione dei due corpi coinvolti.
Il secondo aspetto dell’iki è la rinuncia, atto necessario per liberarsi dall’attaccamento alle cose.
Ecco come lo descrive Shuzo Kuki, nella sua opera La struttura dell’iki:
«La “rinuncia” e quindi anche la “noncuranza”, implicite nell’iki rappresentano la perfetta sprezzatura dell’anima che si è affinata attraversando la gelida spietatezza del mondo instabile e il distacco di quest’anima che, con eleganza e senza rimpianti, si è affrancata dall’infondato attaccamento alla realtà.»
Terzo elemento fondamentale dell’iki è la forza d’animo, che contraddistingue coloro i quali riescono a rassegnarsi alla crudeltà della vita, pur mantenendo una grande dignità.
Da quanto detto si intuisce coma la dottrina dell’iki comporti un concetto di bellezza nella sua accezione più raffinata, ma nello stesso tempo la capacità di mantenere il controllo su di sé attraverso la rinuncia e la forza d’animo.
Il ruolo dell’iki nella cultura orientale può essere paragonato per la sua importanza all’éros per il sapere occidentale.
Dunque l’iki e l’éros rappresentano due diverse modalità di relazionarsi all’altro e quindi due diversi modelli di etica: il primo tende a rispettare la dualità e a rimanere a distanza rispetto all’altro, il secondo predilige l’unità e l’appropriazione dell’altro.
Scrive ancora Kuki:
«L’ideale etico fondato sull’Irrealtà, che è causa formale dell’iki, frenando e moderando la rottura dell’equilibrio unitario impedisce l’instaurarsi di un’apertura eccessiva all’altro.»
In definitiva il concetto di bellezza non è univoco, bensì varia da cultura a cultura e da epoca in epoca: cambiano i secoli e cambiano i canoni e le idee di bellezza ma il bello è sempre qualcosa che attrae, che colpisce e che induce ad uno stato di estasi. La bellezza va oltre la fisicità che la società dei consumi ci impone ogni giorno ma è, più profondamente, una specie di istinto del bello, come un punto di partenza che ci consente di approdare alla verità e al bene.
BIBLIOGRAFIA:
- Platone, Fedro, Mondadori, Milano 2000.
- Eco U., Storia della bellezza, Bompiani, Milano 2004.
- Kuki S., La struttura dell’iki, Adelphi, Milano 1992.
Foto di copertina: Aurelio Candido
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