Il volto dell’altro

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«L’altro uomo non mi è indifferente, l’altro uomo mi concerne, mi riguarda nei due sensi della parola “riguardare”. In francese si dice che “mi riguarda” qualcosa di cui mi occupo, ma “regarder” significa anche “guardare in faccia” qualcosa, per prenderla in considerazione» (1).


I volti che incrociamo ripetutamente, sono tracce, sono storie, sono esteriorità.


Da sempre, mi capita di fare questo gioco: al mattino, uscendo di casa e incrociando i volti delle persone per strada, mi diverto a immaginare le loro storie, i loro desideri, le loro vite. A cosa avranno pensato appena svegli? Perché le loro espressioni sono così corrucciate o perché sono così felici? È un gioco immaginativo con cui, a mio modo, faccio una mia esperienza possibile dell’oggetto che mi si presenta (l’altro) sulla base di mie impressioni, mie esperienze, miei condizionamenti.

Nella nostra prima tappa del percorso fenomenologico di analisi del ruolo della visione nella relazione intersoggettiva e interpersonale che muoveva le mosse dal pensiero di Jean Paul Sartre, ci siamo lasciati con la promessa di recuperare la proposta teorica di Emmanuel Lévinas, che si presenta come originale revisione della fenomenologia di Edmund Husserl, pur riaffermandone alcune delle istanze fondanti come, ad esempio, quella di rispettare e riconoscere l’emergere della rappresentazione dell’altro in quanto altro. Ed è su questo che ci soffermeremo.


La posizione di Husserl, ripresa da Lévinas, ha in realtà molto a che fare con il mio giochino immaginativo delle possibilità.


Per Husserl, nell’esperienza della relazione, l’altro si presenta come un oggetto, come l’oggetto della nostra esperienza, attraverso un corpo che non è ancora un alter ego in quanto l’io altrui non è riconducibile esclusivamente a quel corpo. Quel corpo fa parte della nostra esperienza e, al contempo, fa parte anche dell’esperienza altrui. Noi lo percepiamo, lo sentiamo, lo osserviamo, esattamente come esso reciprocamente ci percepisce, sente, osserva. Tuttavia, riprendendo il ruolo della vista nell’esperienza intersoggettiva, noi percepiamo di essere guardati dall’altro corpo, ma non sappiamo se l’altro corpo ci guarda così come lo guardiamo noi. È in questo senso che l’incontro con l’altro conserva un tratto di inaccessibilità originaria che alimenta il desiderio stesso di accedervi, mancanza che sarà ripresa da Lévinas.


Questo tratto di inaccessibilità, questa mancanza inafferrabile della relazione con l’altro, il filosofo francese la chiama “volto”.


Ritorniamo per un momento al mio giochino. Le storie costruite dalla mia immaginazione sono il frutto della mia fantasia scaturita dai tratti fisici del volto e della loro evocazione sensibile. Per Lévinas, invece, le caratteristiche fisiche sono proprie più del viso che del volto, creando così la distinzione paradossale funzionale alla tesi che intende sostenere: il volto, in quanto inaccessibile all’altro e inafferrabile, non ha tratti fisici di corporeità ma nonostante la sua esteriorità comunica ciò che c’è di più intimo e profondo nell’essere umano; è così che propriamente, per il filosofo, l’altro parla.

L’irruzione del volto, però, è traumatica perché ci rivela la presenza dell’altro. È tuttavia un trauma positivo perché il modo in cui noi siamo toccati dall’alterità dell’altro è salvifica, ci toglie alla nostra condizione semplicemente biologica (ciò che Lévinas chiama egoismo, il dover esistere) e ci costringe a fare i conti con la sua rivelazione che non può essere ignorata; infine perché, conformemente all’ispirazione biblica sempre presente nel pensiero di Lévinas, il volto dell’altro, nel suo parlare, ci rimanda al comandamento di non uccidere che è all’origine dell’etica e, quindi, alla dimensione propriamente umana del volto.

In questo senso, l’altro non può essere afferrato, laddove afferramento deve essere inteso sia in senso fisico che in senso concettuale ed è in tal senso che per connessione e per opposizione si configura il primato dell’altro, un primato che non può e non deve essere ignorato; un alter ego che, come aveva anche detto Husserl in altri termini, non lascia indifferente l’ego.

Questa non indifferenza dell’altro, nel doppio senso del genitivo, è l’origine del desiderio inesauribile per l’altro, che ci ossessiona anche, se non soprattutto, quando vorremmo ignorare il suo appello.



(1) http://machiave.blogspot.com/2013/01/il-volto-dellaltro-2-levinas.html