Chi sono i negazionisti climatici?

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Che tipo di relazione c’è tra il negazionismo climatico e la discriminazione di genere? In che modo la questione climatica ha delle ripercussioni sulla disparità di genere?

Perché si ritiene che le battaglie per il clima e la salvaguardia dell’ambiente siano cause portate avanti generalmente da giovani donne (giovanissime) e siano osteggiate perlopiù da uomini adulti (bianchi, occidentali e di destra)? 


Le spiegazioni sono molteplici e intrecciate tra loro e hanno differenti nature: sociali, economiche, politiche.


Tuttavia, possono essere tutte ricondotte a un concetto tipico della psicologia sociale risalente ormai alla seconda metà del Novecento e identificato come “rigidità psicologica” avente come motore d’azione, tra gli altri, lo stesso fil rouge che attraversa ogni tipo di pregiudizio sociale e razziale: la paura.


[Sul negazionismo]


È storia, o più esattamente pseudo-storia. Da sempre ogni processo storico, ogni scoperta scientifica, ogni ideologia politica, è stata contrapposta a una forma specifica di negazionismo impegnata a sostenere tesi opposte che negasse l’esistenza o confutasse la potenza e l’influenza delle tesi originarie. Lo schema d’azione è quasi sempre lo stesso: si individuano personalità più o meno credibili e influenti tanto da poter incarnare il mito negazionista con l’autorità (molto spesso accademica) sufficiente per combattere l’unico vero nemico identificato: l’autorevolezza della scienza


Per quale scopo?


L’obiettivo è di salvaguardare principalmente interessi economici e politici. È questo il caso, anche, del negazionismo climatico. Già dal 1982, ad esempio, la ExxonMobil (la compagnia petrolifera statunitense presente sul mercato mondiale e operante in Europa conosciuta sotto il nome di ESSO) aveva previsto l’aumento della temperatura connesso all’emissione di combustibili fossili. Previsioni di questo tipo sono però state affiancate per più di trent’anni da ricerche volte a delegittimare l’allarme climatico e, come documentato nel report della Union of Concerned Scientists (1), a combattere le politiche ambientaliste mondiali in continua diffusione.

È un gioco delle parti che vede così schierarsi le due fazioni contrapposte: da un lato l’autorevolezza scientifica rimane fedele ai suoi principali canali di diffusione, dall’altro lato lobbies politiche e interessi economici sfruttano il campo fecondo dell’opinione pubblica e della manipolazione sociale attraverso l’informazione. Nell’attuale dibattito internazionale, però, gli scettici climatici sono accomunati anche da un altro tipo di scetticismo che si manifesta con la difficoltà di ammettere l’esistenza del problema della questione di genere, del problema razziale, delle discriminazioni omofobe.


Più in generale: i negazionisti climatici sono anche negazionisti delle discriminazioni tutte.


E sono uomini adulti, bianchi, occidentali, di destra, antifemministi così come dimostrano anche le recenti ricerche della Chalmers University of technology di Goteborg, il primo centro di ricerca sul negazionismo climatico, che ha pubblicato nel 2014, un saggio che analizza il linguaggio utilizzato dai negazionisti climatici. (2) Un linguaggio reazionario, violento, fortemente sessista e che cerca di tutelare l’identità ben definita di un certo tipo di maschilismo. Oltre gli interessi economici e politici, sembra delinearsi così anche il vero interesse da difendere: la propria identità.


[Quale identità?]


Nell’ultimo anno il movimento per la salvaguardia dell’ambiente e la lotta politica contro il cambiamento climatico hanno visto come portavoce mondiali due giovani donne: Greta Thunberg, attivista che con i suoi scioperi solitari davanti al Parlamento svedese è riuscita a dar vita al movimento studentesco internazionale Fridays for future e Alexandra Ocasio Cortez attivista e politica che dopo aver sfidato e battuto inaspettatamente Joseph Crolwy alle primarie democratiche, diventa la più giovane eletta in parlamento. Entrambe diventano il bersaglio principale delle critiche, spesso sfocianti in vere campagne di odio, degli scettici climatici.

Ma più in generale gli attacchi più frequenti non passano solo attraverso le idee politiche che esse difendono ma si trasformano in attacchi mirati che sfruttano caratteristiche personali e soggettive. Questo dato, naturalmente, non è casuale: Greta e Alexandra riescono a svelare quello che per anni si è cercato di negare e tenere nascosto con dispendiose campagne di informazione che hanno avuto la complicità di importanti settori della stampa, e riescono a farlo proprio grazie a quello che le due attiviste rappresentano soggettivamente.

Se fino a poco tempo fa l’opinione pubblica lontana dai tecnicismi decideva di credere e affidarsi a questa o quell’altra corrente di pensiero suggerita dalle fonti classiche di informazione (spesso pilotate), oggi le voci che attirano l’attenzione hanno un volto, e hanno il volto di chi per tradizione non siamo abituati a pensare nei contesti politici e di potere. Non è un caso se tra le argomentazioni più frequenti di coloro che screditano le due attiviste, inadeguatezza e incompetenza, con l’aggravante dell’età, rappresentano le motivazioni più frequenti.

Se si è donne, ma soprattutto se si è giovani e inesperte (i due tratti vanno di pari passo) non si possono occupare certi posti di potere: il rischio, come ha sostenuto in più occasioni lo studioso danese Biorn Lomborg, è quello di non essere credibili. Il problema culturale è che l’inesperienza venga associata inevitabilmente a donne giovani e, al contrario, la competenza e adeguatezza siano una esclusività degli uomini. In pericolo c’è la “mascolinità di capofamiglia industriale”, come afferma Martin Hultman in un’intervista alla Deutsche Welle (3), una mascolinità composta da valori economici e di potere che mettono al centro dei loro interessi la crescita economica a discapito dell’ambiente, della natura e di ogni altro tipo di ideologia.


Ma la potenza delle idee muove le masse, nonostante le resistenze.


Le muove con i simbolismi e le rappresentazioni di ciò che si crede impossibile e irrealizzabile e all’improvviso appare possibile e realizzabile. L’idea che ci sia un sentire comune in cui sono le scelte del singolo che possono fare la differenza è l’atto politico concreto compiuto da Greta. E ancora, la partecipazione politica di una giovane donna, possibile perché brava, carismatica e competente, è l’atto democratico e di diritto esercitato da Alexandra Ocasio Cortez che si legittima e normalizza. L’aria del cambiamento che si cerca di negare non è solo quella del cambiamento climatico, ma anche culturale e sociale.

La difficoltà di accettare l’inevitabile verificarsi del cambiamento del paradigma sociale e politico, non è solo dettata da interessi economici, ma coinvolge aspetti sociali, culturali e quindi psicologici fortemente radicati.


[Sulla rigidità psicologica e la personalità antidemocratica]


Un concetto oggi giorno trascurato dalla psicologia classica, ma ripreso dalla prospettiva fenomenologica, potrebbe essere utile per comprendere il problema della questione identitaria e dei pregiudizi sociali.

Agli inizi degli anni Cinquanta la psicologa Frenkel-Brunswich e i suoi collaboratori pubblicarono nel «Journal of Personality» le loro ricerche relative alla “personalità-antidemocratica”. Nell’articolo intitolato Intolerance of ambiguity as an emotional and perceptual personality variable essi dimostrano come ci sia un legame tra le opinioni razziste e il concetto di rigidità psicologica.


Con rigidità psicologica, si intende l’atteggiamento di un soggetto a dare risposte semplificate, senza sfumature di significato.


Chi è caratterizzato da questa cosiddetta rigidità psicologica, secondo questi studi, tende a manifestare opinioni nette e spesso manichee. Si tratta cioè di persone che esigono che la realtà sia chiaramente articolata in forme nitide e immutabili e quindi evitano, o addirittura rifuggono, le zone grigie.

Questo tipo di personalità può essere facilmente scambiata per carattere forte e soprattutto virile, ma tali studi dimostrano al contrario che si tratta perlopiù di persone fragili e insicure, che hanno bisogno di certezze proprio perché sentono la minaccia della propria identità a causa dei cambiamenti in atto. La rigidità psicologica è quindi il tratto che accomuna modi di pensare in apparenza lontani ma in realtà connessi in profondità da un analogo modello di pensiero: l’esigenza di evitare il più possibile le ambiguità che inevitabili sorgono con i mutamenti, siano essi culturali, economici, sociali o anche biologici.

Non si può e non si vuole identificare nel concetto di rigidità psicologica una causa strettamente determinante che spieghi con una determinata struttura psichica scelte culturali, economiche e politiche molto complesse, ma il merito di questi studi è quello di mostrare in modo chiaro e accurato dal punto di vista scientifico che esiste quanto meno una correlazione tra questo genere di personalità e le posizioni reazionarie di destra, razziste, antifemministe e antiecologiste oggi sempre più diffuse che, oggi come ieri, rappresentano una minaccia non solo per le minoranze ma per il destino dell’intera umanità.


(1) https://www.ucsusa.org/

(2) Jonas Anshelm, Martin Hultman, “A green fatwa? Climate change as a threat to the masculinity of industrial modernity”, International Journal of Masculinity Studies 2014

(3) https://www.dw.com/en/how-right-wing-nationalism-fuels-climate-denial/a-46699510

BIBLIOGRAFIA:

Frenkel-Brunswick, Intolerance of ambiguity as an emotional and perceptual personality variable, Journal of Personality, 1949 https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/j.1467-6494.1949.tb01236.x

M. Merleau- Ponty, Il bambino e gli altri, Armando Editore 1968