Le menti criminali e il loro fascino

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Vi è mai capitato di parlare di un qualche caso di cronaca con un amico o un conoscente? Di discutere di un omicidio e di farvi prendere dal fervore e da una specie di entusiasmo inspiegabili? Siamo “brave persone”: la sola idea di fare del male a qualcuno non ci passa minimamente per la testa. Tanto meno, di uccidere uno o tanti esseri umani. Eppure, queste cose in qualche modo ci affascinano. Perché? La risposta non è immediata. Lo è ancora meno se cerchiamo di comprendere il successo dei serial killer, dimostrato – a livello più pop – da un infinito numero di film, libri, trasmissioni televisive e podcast sull’argomento. Inoltre, nei prodotti più recenti non pare esistere (per fortuna?) la censura: si indugia anche sui particolari più agghiaccianti. 


Perché tutto ciò, in qualche maniera, ci piace? In linea di principio, pare strano considerare interessanti racconti di menti contorte, arti smembrati, cannibalismo, crude esecuzioni. 


Non possiamo etichettare il tutto come semplice voyeurismo. Ci deve essere qualcosa di più profondo, che ci attira in quei mondi così tanto lontani dalla nostra realtà quotidiana.

Forse, ciò che ci porta ad approfondire anche le componenti più macabre è una volontà di fondo di comprendere sin dove si spinge l’uomo, sin dove può arrivare la nostra capacità di compiere del male.

Per questo possiamo affermare che la mente criminale viene analizzata da molto tempo, ben prima del noto Cesare Lombroso, nome che un po’ tutti associamo a questi argomenti. Essa viene studiata sin dagli antichi Greci, poiché, approfondendola, si richiamano i concetti di ragione, morale, limiti umani. Insomma, si tira in causa la nostra stessa natura.


A riguardo, paiono esserci due concezioni opposte: una che vede l’uomo come non malvagio per costituzione, un’altra che lo vede come cattivo e spietato.


Questi punti di vista, per quanto figli del proprio tempo, risultano validi ancora oggi e possono essere collegati a modi di pensare – pop o meno – ancora in vigore.

Alla prima si potrebbe associare Socrate, che con il suo intellettualismo etico afferma che si compie il male perché si ignora il bene. In questa visione, le menti criminali non sarebbero davvero cattive, sarebbero solamente ignoranti. Semplicemente non conoscerebbero il bene (1). 

Questa idea del filosofo greco ha influenzato la nostra mentalità sino ad oggi. Certe teorie odierne sui killer, infatti, sostengono che essi sarebbero diventati cattivi a causa di traumi a volte fisici, ma più spesso psicologici. Molti di questi spietati assassini, effettivamente, hanno spesso vissuto una vita terribile e un’infanzia piena di maltrattamenti e umiliazioni. Il male porta altro male, la violenza conduce a ulteriore violenza. Alice Miller ce lo ha detto bene in molti suoi libri, dei quali noi stesse abbiamo parlato (2). Attualizzando Socrate, allora, possiamo dire: non hanno conosciuto altro e sono stati abituati così, a vivere nella più totale malvagità


Accanto all’intellettualismo etico, però, troviamo, altre riflessioni sul versante opposto, inquadrabili nella seconda concezione del rapporto tra essere umano e male: in filosofia in quella di Hobbes e, in letteratura, in quella dell’italianissimo Machiavelli.


Il primo sosteneva che l’uomo nasce cattivo per natura e che l’unica cosa che lo frena sono le leggi, lo Stato e la società. Per questo, egli parla esplicitamente di homo homini lupus: se non ci fosse il Leviatano, gli uomini si “sbranerebbero” a vicenda (3). Il secondo affermava che l’essere umano è tristo per natura ed è per questo che il Principe a governo dello stato deve sapere essere furbo e saper dissimulare (4). Per quanto, ovviamente, differenti, le loro teorie hanno un filo comune: il genere umano è malvagio per costituzione e si trattiene solo per paura delle sanzioni. 

È difficile accettare una simile concezione. Forse, però, tale innata malvagità umana potrebbe spiegare il nostro strano interesse verso delinquenti e serial killer. Queste cose ci attirano forse perché l’umanità intera è cattiva, siamo forse semplicemente più timorati verso delle autorità. 


Tale visione, però, pare estrema. Soprattutto perché c’è mente criminale e mente criminale.


Se tutte le questioni legate all’etica risultano essere valide per i delinquenti comuni, ci sono categorie, come i serial killer, che paiono rifuggire ogni tipo di classificazione. La loro malvagità pare disumana, spesso anche per i numeri enormi di persone uccise, e le ragioni del loro gesto si sottraggono all’umana comprensione. 

Socrate scrisse tra il 400 e 500 a.C., Machiavelli tra 1400 e 1500, Hobbes tra 1500 e 1600, ma le loro visioni del rapporto tra bene e male influenzano la società ancora oggi. Questo perché oggi come allora noi umani ci interroghiamo sulla nostra natura, attraverso l’osservazione dei nostri simili. O dei nostri dissimili. Ora come allora, cerchiamo un modo per dare un ordine al caos, un senso all’insensato.

Ecco perché anche noi “brave persone”, totalmente estranee al mondo della criminalità, ci interessiamo a esso: è lontano da noi, eppure riguarda noi. Forse anche per questo seguiamo serie tv, leggiamo libri, guardiamo film sui serial killer: per volontà di conoscere noi stessi. Per farlo, è necessario guardare verso l’Altro per capire l’Io (4). 


Insomma, appassionandoci a certe storie crudeli inconsciamente cerchiamo di afferrare l’inafferrabile, spingendoci ai limiti con la disumanità, verso l’incomprensibile. La criminalità complica la nostra natura, i serial killer la sovvertono. Ciò guida la nostra volontà di conoscere tutto, anche ciò che è disgustoso e folle.







(1) Cfr. Platone, Apologia di Socrate, Venezia, Marsilio Editori, 1994.

(2) https://www.filosofemme.it/2020/04/27/hitler-e-la-pedagogia-nera/ https://www.filosofemme.it/2019/06/01/genitori-amore-e-contraddizoni/ https://www.filosofemme.it/2019/02/07/progetto-verso-uninfanzia-felice-contro-la-pedagogia-nera/ 

(3) T.Hobbes, Il Leviatano, Milano, Rizzoli, 2011.

(4) Cfr.  N. Machiavelli, Il Principe, in Niccolò Machiavelli: tutte le opere, Bompiani, Firenze 2018.

(5) Cfr. https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=13984