Eros, ovvero il filosofare

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Quando si parla di Amore, in filosofia così come in generale, non può non saltare alla mente il racconto che Platone ci presenta nel Simposio.

Celebre è, infatti, la favola degli androgini, divenuta nell’immaginario comune il racconto topico della nascita dell’amore.

Platone presenta gli androgini come delle sfere piene, compiute, composte da due teste, quattro braccia e quattro gambe.

Tali figure, che popolavano il mondo titanico ben prima della comparsa degli umani, erano ritenute molto pericolose: dotate di immensa forza dovuta dalla pienezza e dalla perfezione della loro rotondità (la sfera rappresenta la forza e l’invincibilità del tutto-pieno), gli androgini rotolavano sulla terra, distruggendo qualsiasi cosa gli si parasse dinanzi


Zeus, intimorito dalla loro forza, ordinò ad Apollo di dividerli in due, così da poterne limitare il potere. Ormai divisi, gli androgini sono costretti a cercare la loro metà originaria pensando, ricongiungendosi, di riacquistare la forza e la pienezza che prima apparteneva loro.


L’atto di scissione porta con sé la creazione dei sessi: prima che Zeus ordinasse ad Apollo di scindere gli androgini, essi si trovavano in perfetta unione di maschio con la femmina, femmina con la femmina e maschio con il maschio. Divisi dalla loro perfetta complementarietà, le metà dell’androgino sono mosse verso la ricerca della loro altra parte originaria e l’atto sessuale diviene il momento di ricongiungimento dell’unità primordiale.


Quello degli androgini è il racconto dell’amore sessuale, dell’unione nell’atto carnale, della forza vitale e generatrice.


Sebbene la favola abbia nell’immaginario comune un posto di preminenza, nel Simposio Platone ci offre un altro racconto sull’amore, per molti versi molto più significativo di quello finora narrato: la nascita di Eros

L’espediente narrativo del banchetto offre a Socrate, portavoce di Platone, l’opportunità di raccontare ai commensali l’esito di un colloquio avuto con la sacerdotessa Diotima sulla nascita di Eros.

Era infatti opinione comune che Eros, o Amore, fosse la principale delle divinità per importanza. Agatone, il commensale che inaugura il banchetto offrendo un primo discorso sull’Amore, parla di questa figura come il dio più arcaico, il più bello, perfetto e felice. La sua centralità nella vita persino degli dei, pone infatti Amore tra le divinità principali per importanza e perfezione.


Socrate tuttavia, riprendendo le parole della sacerdotessa, ribalta il discorso, presentandoci Eros come un dio imperfetto, che non è nemmeno da considerarsi una divinità, bensì una figura inferiore, un dio a metà.


Figlio di Poros, dio dell’ingegno, e di Penia, dea della povertà, Amore conserva le caratteristiche principali dei genitori: la costante ricerca e l’incessante mancanza.

Si racconta che proprio perché figlio dell’ingegno, ovvero della capacità di costruire e di trovare le strade nuove anche dove non ci sono, e della povertà, ovvero della continua mancanza, Eros sia condannato a cercare e a perdere. Tutt’altro che perfetto, Amore è una semi divinità povera, scalza, senza dimora, costretta a vagare per le strade in perpetua ricerca. 

Scopritore di strade, come l’ingegno, Eros vaga in ogni luogo, ma riversato nella povertà e nella mancanza, ogni meta gli è distante, mai compiuta.

Così come Eros ci suggerisce, l’amore è ricerca senza fine. Ma affinché vi sia ricerca è necessario che vi sia anche mancanza: non posso volere ciò che già possiedo, che è già mio.


L’amore è tensione verso ciò che è momentaneamente assente, eppure richiamato alla mente costantemente.


Questa continua tensione verso l’amato, verso ciò che è desiderato, prende la forma di un’incessante volere. Amare è desiderare l’altro, cercarlo, senza mai possederlo veramente. Il mio amato è qui, accanto a me, ma è altro da me, non è mio, non lo possiedo veramente. Così come l’amante, che è legato all’amato ma che, amandolo, non lo possiede mai; Eros è in costante ricerca, in tensione verso l’altro che non è mai posseduto. 

«È una via di mezzo, è ti metaxù, è una circolarità, quello che prende gli sfugge via subito, sicché Eros non è mai né povero né ricco, bensì egli sta in mezzo […]» (1).

Eros è, agli occhi di Platone, la metafora del filosofo, del sapiente: colui che ricerca incessantemente. Significativo è che sia proprio Socrate a parlarci in questi termini di Amore, colui che incarna la costante tensione, l’infinita ricerca della sapienza. Proprio Socrate, il filosofo del “so di non sapere” è il simbolo del paradosso del filosofare: conoscere ciò che non si sa.

Il filosofo, così come l’uomo in generale, è a metà tra ignoranza e conoscenza, sta nel mezzo: è ignorante, perché dell’infinità del mondo non gli è dato sapere tutto, ma al contempo è sapiente, poiché di ciò che sa e di ciò che non sa egli ne ha conoscenza. Ciò è possibile solo mediante un superamento: la ragione trascende se stessa, si indaga dall’alto, riuscendo a comprendere il proprio limite. Attraverso un movimento circolare fuori e dentro di sé, la ragione, così come il pensiero, è cosciente della propria limitata sapienza e della sua propria ignoranza. Solo la comprensione del limite permette a Socrate di volta in volta, di  superarlo. E comprenderlo è possibile solo andando oltre, muovendosi sempre in avanti, senza fermarsi mai.


Come Eros, anche il filosofo è ti metaxù, a metà tra sapienza ed ignoranza, dentro e fuori dal limite. 


In altre parole:

«il filosofo è colui che non è né uomo né dio, è qualcosa di mezzo, che quindi designa la condizione umana ottimale, ma anche tragica che non è né essere catturati dalla ebetudine animale, né pretendere di essere un dio, ma volare nell’intramezzo – e difatti Eros ha le ali, come tutti sanno- volare nel metaxù, nella continua ricerca di qualcosa che per sua natura non può che sfuggire» (2).

Significativo è anche che sia Diotima, nel racconto, a suggerire a Socrate questa immagine di Eros. Solo una sacerdotessa poteva rivelargli il mistero, poteva comunicare questa verità, svelando la natura profonda dell’amore, nonché la vera immagine del filosofo. 

Diotima è la rivelazione, è lo sguardo del pensiero su se stesso, è colei che rivela, che illumina, che profetizza. Come un oracolo Diotima annuncia a Socrate, così come ad Eros, il suo responso: che la più alta grandezza, è la più profonda condanna.





(1) Carlo Sini, La nascita di Eros, Albo Versorio, Milano 2012, p. 22.

(2) Ivi, p. 25.

Immagine di copertina: è stato impossibile recuperare l’autore di quanto illustrato. La redazione rimane a disposizione per chiarimenti e attribuzioni. Utilizzo non commerciale.