È giusto utilizzare un nome di genere femminile per una donna che svolge una certa professione? Questa è la domanda alla quale la sociolinguista Vera Gheno vuole rispondere nel suo libro Femminili singolari. Ho deciso di leggere questo libro incuriosita dal dibattito sull’intervento della direttrice d’orchestra Beatrice Venezi nel corso di Sanremo 2021: «chiamatemi direttore, non direttrice, la parità è un’altra cosa» (1). Mi è suonato in testa un campanello di allarme e ho approfondito la questione.
È la dott. Gheno a spiegarci, con una semplice citazione, il motivo per cui l’utilizzo di un nome professionale al femminile non sia un banale puntiglio femminista: «nomina sunt consequentia rerum»(2) , ovvero i nomi sono conseguenza delle cose. In altre parole, se una cosa non esiste, non c’è bisogno di nominarla. Se fino ad ora non abbiamo sentito l’esigenza di riferirci a qualcuno come avvocata o ministra è semplicemente perché prima non c’erano. Per questo l’uso del genere femminile non è semplice vezzo, ma un’attestazione della loro stessa esistenza.
Ciò che viene da chiedersi è: perché ci poniamo il problema per sindaca e non per maestra? Perché il problema del genere si pone per ministra e non per infermiera?
Il fatto che per determinati ruoli professionali venga messo in discussione l’equivalente femminile, sottolinea quanto la questione sia sociale e culturale (come giustamente l’autrice fa notare, nessuno si sognerebbe mai di chiamare Federica Pellegrini nuotatore!), piuttosto che linguistica.
Vi sono molte obiezioni all’utilizzo dei ruoli professionali al femminile a cui l’autrice risponde all’interno del suo libro, ma in questo articolo ve ne proporrò due, particolarmente diffuse.
Alcuni appellativi declinati al femminile “suonano male”, “sono cacofonici”. Queste le classiche critiche rispetto all’uso del genere femminile per le professioni, ma ciò che riesce a notare l’autrice è molto interessante: si sta confondendo il valore denotativo ( per le donne i nomi professionali devono essere femminili?) e il valore connotativo (se mi piace, se non mi piace, se è bella o brutta). Una parola può essere brutta anche se corretta e corretta anche se brutta; la stessa parola “cacofonico” può suonare sgradevole all’orecchio, ma ciò non toglie che sia corretta.
Un’altra accusa rivolta ai nomi professionali femminili, ma anche a qualsiasi neologismo, è quella di rovinare la purezza della lingua italiana. Bene, non esiste una lingua italiana ufficiale quindi non si sta tradendo nessuna purezza dato che non c’è uno standard di riferimento. Esistono varie imprese lessicografiche (Treccani Vocabolario, Zingarelli), ma ognuna di queste risponde ai propri criteri e non a criteri assoluti. Inoltre, così facendo, si sta chiedendo alla lingua di essere statica, quando non può non essere in continuo cambiamento.
Un interessante tema trattato in Femminili singolari è anche la contestualizzazione del dibattito, molto attuale, all’interno dei social network.
Se prima dell’avvento del web il dibattito sulla lingua avveniva tra esperti, ora esso si svolge anche e soprattutto nel campo social. Sicuramente i social network sono un territorio a tratti anarchico nel corso di una discussione, ma forse proprio per questo gli esperti in ogni campo del sapere dovrebbero rimboccarsi le maniche per affrontare le critiche degli ostili, le domande dei curiosi e dare delucidazioni ai più confusi.
Forse se ora potessi rispondere a Beatrice Venezi, le urlerei: «Le parole sono importanti!» come Nanni Moretti alla giornalista superficiale e frettolosa ne La Palombella Rossa. Le parole non sono solo linguaggio, ma anche metalinguaggio, vanno al di là di esso ed è per questo che sono così importanti.
Vera Gheno, chiara, professionale, critica e mai ostile, ci fornisce tutti gli strumenti, anche grammaticali, per poter affrontare la questione e far sì che ognuno di noi possa trovare la propria risposta.
Una lettura per chi è a favore dell’utilizzo dei femminili e per chi è contrario, ma aperto e curioso rispetto a un’idea diversa.
Vera Gheno, Femminili singolari, effequ, Firenze, 2019.
(1) https://www.ilmessaggero.it/televisione/sanremo_2021_beatrice_venezi_direttore_d_orchestra_cosa_ha_detto_parita_ultime_notizie_news-5814222.html
(2) Dante Alighieri, Vita Nuova (XIII,4), Mondadori, 2019
Un materialismo queer è possibile
28 Novembre 2024Altricorpi. Scoperta del proprio corpo e dei corpi altrui
21 Novembre 2024Il femminile e l’uomo greco
15 Novembre 2024
-
Il CICAP Fest e la divulgazione scientifica che ci piace
18 Settembre 2019 -
Orgasm gap: una questione politica
26 Febbraio 2020 -
Il male radicale
17 Gennaio 2020
Filosofemme è un progetto che nasce dal desiderio di condividere la passione per la filosofia tramite la figura delle filosofe.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Privacy PolicyCookie Policy