Complottismi: l’ordine nel caos-mondo

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Immaginiamo eventi inspiegabili che producono stati di angoscia individuale e, soprattutto, sociale.

Adesso pensiamo alla soluzione e alla grande narrazione che ci propongono le teorie cospirazioniste.

Ci fanno rientrare nella comfort zone, nel nostro piccolo ordine in un mare di incertezze.

Come nel mercato, il meccanismo domanda (senza risposta) – offerta (cospirazione) è il gioco che rende eterno il fenomeno del complotto. Le teorie cospirative si adattano e si plasmano, eliminando o aggiungendo elementi, senza mai perdere la loro capacità giustificatrice.

La funzione esplicativa di inscrivere gli eventi all’interno di un frame di significato, tipica di tali teorie, è ciò che Karl Popper definì il contrario del vero fine delle scienze sociali, poiché questo tipo di teorie disconoscono tutti quei fattori di imprevedibilità che concorrono allo svolgimento storico. (1)

Del resto, anche la scienza ammetterà, in seguito e sempre più di frequente, che la risposta alle tante domande dell’uomo, quindi la Verità, non è un’eterna verità. È plausibile pensare, di conseguenza, che un sentimento di insicurezza si sia sviluppato all’interno dell’opinione pubblica e che proprio questo sia uno dei motivi principali di diffusione di teorie cospirazioniste, anche contemporanee.

È più semplice, infatti, accettare la condizione di poca sicurezza e di crisi affidandosi all’idea secondo cui esiste la Verità, ma che si nasconde, che sia oscura e che si manifesti solo a chi affina lo sguardo.

«[…] c’è un tendere alla verità nel senso della correttezza del guardare e della sua direzione.» (2)

Nulla da dire sul ragionamento: anche Platone nell’antichità aveva dato un significato specifico a quella che noi chiamiamo, appunto, verità, cioè a-lètheia. In greco antico l’alfa è privativo e sta ad indicare come la verità stia sempre in una condizione di chiaroscuro, quanto essa sia velata, e che solo chi la ricerca riesce a s-velarla.

Appena voltiamo lo sguardo, ecco che essa è scomparsa.

Ma i greci (pre e post Platone) non intendevano dire che la verità, allora, corrisponde ad un deep state, ad uno stato oscuro che è detenuto dai poteri forti, gli unici che tirano le fila del mondo intero.

Si comprende a questo punto quale sia il nucleo attorno al quale gira incessantemente la teoria cospirazionista: il potere.

Il complotto rappresenta un dispositivo del potere, giacché riesce a formulare una spiegazione onnicomprensiva del cosmo intero, provocando ondate che si diffondono in tutto il tessuto sociale.

Molti studi, da quelli di Hofstadter ad altri di psicologia sociale, hanno sostenuto che il complotto è il sintomo di una patologia sociale umana del “non compreso”, vecchia quanto l’uomo, che si acuisce o si stabilizza nel tempo.

Questa linea interpretativa, però, come afferma Donatella Di Cesare, non solo rischia di dare una lettura parziale a questi fenomeni, ma anche alimenta la divisione tra chi viene accusato di essere complottista, perché antisistema, e chi si definisce anticomplottista, ma incolpato di sostenere l’ideologia dominante. (3)

Tanto meno si deve banalmente ritenere che i complotti al giorno d’oggi siano causati soltanto da altri fenomeni sociali digitali come l’infodemia – che sicuramente gioca un ruolo di diffusione per il forte attecchimento al sostrato sociale, ma non ne è pienamente “responsabile”.

Per evitare di cadere in un simile errore di giudizio, basterebbe considerare il fatto che almeno una volta nella vita chiunque di noi ha creduto a una teoria cospirativa e non per questa ragione (spero) ha ricevuto la diagnosi di qualche patologia mentale.

Che rapporto, allora, intraprendere con i fenomeni complottisti?

Per prima cosa bisogna tenere sempre bene a mente come funziona una teoria del complotto e di cosa è necessario per la sua stessa esistenza:

«Il prototipo della teoria del complotto è una domanda a cui non è stata data risposta; essa presuppone che nulla è come sembra; ritrae i cospiratori come persone dotate di competenze fuori dal comune, e straordinariamente malvagie; si basa su una ricerca serrata dell’anomalia; ed è, in ultima analisi, inconfutabile.» (4)

Secondariamente dobbiamo chiederci sempre il motivo per cui pensiamo quello che pensiamo e analizzare le nostre intuizioni.

«La nostra è soltanto una prudente paranoia? Oppure sono i nostri pregiudizi ad avere la meglio su di noi?»

Non che i pregiudizi, le stranezze e le scorciatoie del nostro cervello siano tutta roba cattiva, naturalmente.

Senza di essi, cercheremmo costantemente rifugio nei nostri letti in una sorta di immobilismo vittoriano, nell’incertezza di qualsiasi cosa e nell’incapacità di prendere anche la decisione più semplice, nella costrizione a rivalutare ogni volta la nostra intera visione del mondo.

Il nostro cervello funziona in questo modo per una ragione: aiutarci a tirare avanti alla meno peggio in un mondo pieno di incertezze e, a volte, infido. I nostri pregiudizi ci rendono ciò che siamo: esseri umani. (5)
  1. K. Popper, La società aperta e i suoi nemici. Volume 1: Platone totalitario, a cura di Dario Antiseri, Armando editore, Roma, 2014, cap. X.
  2. M. Heidegger, Segnavia, Adelphi edizioni, Milano, 1987, p. 188.
  3. D. Di Cesare, Il complotto al potere, Einaudi, Milano, 2021, cap. I.
  4. R. Brotherton, Menti sospettose. Perché siamo tutti complottisti, Bollati Boringhieri editore, Torino, 2017, p. 103.
  5. Ivi, p. 315.