Ida Dominijanni: soggetto politico, soggetto dell’inconscio parte II
Nell’articolo di ieri abbiamo avuto modo di riflettere su come la dimensione inconscia della soggettività operi nella politica; ora, invece, ci interrogheremo sul rapporto tra l’inconscio e il pensiero femminista. Per farlo partiremo dunque dal secondo testo di Ida Dominijanni su cui si è concentrato l’incontro di CONTRA/DIZIONI, ovvero Pratica dell’inconscio, inconscio della pratica. Come quello precedente, anche questo testo parte dalla ricostruzione del nesso tra pratica politica e pratica psicoanalitica, nesso che il Femminismo (soprattutto quello italiano, ma non solo) ha sempre tenuto molto in considerazione.
Tuttavia, qualcosa è cambiato: anche nella trattazione femminista, infatti, risulta la tendenza a fare a meno degli interrogativi sull’inconscio. E invece è importante sottolineare che il Femminismo nasce proprio da una pratica di rapporto con esso.
Ci si domanda allora: considerando che oggi l’inconscio è messo al servizio del sistema capitalistico per la sua implementazione (per esempio attraverso la pubblicità) anziché per la creazione di strategie che lo rivoluzionino, il femminismo di ultima generazione è ancora interessato ad approfondire il percorso di scoperta e valorizzazione del desiderio e dell’inconscio?
Quello che si può fare (e che dovrebbero fare a maggior ragione le pratiche femministe) è provare a tenere sempre più conto dell’esistenza di una dimensione inconscia della soggettività che è sempre presente in maniera inconsapevole e che dunque può essere fonte di “sorprese”. Non si tratta per forza di sorprese negative e traumatiche, come si tende a pensare: l’inconscio infatti è anche il luogo della creatività, dell’insorgenza, del desiderio che spiazza rispetto alla volontà.
Dunque, dal momento che questa dimensione – invisibile ma costante – entra necessariamente a far parte dell’agire politico, bisognerebbe lasciarla libera di esprimersi e di agire per la trasformazione.
Una particolare tipologia di desiderio su cui il Femminismo ha posto l’accento è il desiderio erotico: tutto il movimento, infatti, è partito dal riconoscimento di un elemento erotico che c’era nello stare tra donne, nel senso di un desiderio lesbico, ma anche nel senso più lato del termine, ovvero il piacere di stare insieme tra donne, di dare valore all’altra, di non essere misurate dal desiderio maschile.
Tutti questi desideri sono stati la spinta iniziale della nascita del Femminismo e sono tutt’ora vie di contestazione dell’ordine dominante nonché segnali precisi che i nostri corpi ci mandano e che, in quanto tali, hanno un’enorme valenza politica.
Come aveva fatto per spiegare come l’inconscio influisca sull’agire politico, Dominijanni lega questi argomenti col nostro presente: che cosa succede all’erotismo in una situazione dominata dalla paura del contagio? Il distanziamento sociale, infatti, è distanziamento fisico, e questo può avere delle conseguenze enormi dal punto di vista della perdita del contatto con l’altro. Per questo motivo c’è un grande bisogno di parlarne in questo momento, soprattutto per i soggetti più giovani.
Ed è importante farlo partendo dal linguaggio, perché esso non è mai soltanto razionale: il linguaggio è ciò attraverso cui l’inconscio trapela, sempre, al di là della volontà del soggetto.
Questo lavoro comprende anche l’invenzione di nuovi significanti. Un esempio di significante inedito creato dal femminismo è, primo tra tutti, differenza sessuale: significante non biologico ma discorsivo che voleva significare il desiderio della libertà femminile. La politica, infatti, è sempre anche produzione di significanti inediti (la Lotta di classe di Marx ne è un esempio): la politica è politica del linguaggio. La difficoltà, di nuovo, è che formare un significante nuovo, efficace, performativo e mobilitante, non è mai un processo solamente razionale, ma deve emergere da più elementi, alcuni dei quali inconsci.
Anche il desiderio femminile che il Femminismo della seconda ondata ha con la sua ribellione riportato a galla era desiderio represso dal Patriarcato e dunque inespresso.
Proprio per questo motivo, Dominijanni suggerisce che anche il Femminismo Intersezionale, oltre ad occuparsi della pluralizzazione dei soggetti e della riflessione sull’intersezionalità del soggetto politico, dovrebbe andare più in profondità nel processo di decostruzione della struttura ontologica del soggetto.
E dovrebbe farlo proprio tenendo presente anche la dimensione inconscia del soggetto politico: struttura che ha spesso a che fare con la differenza sessuale intesa come struttura dell’immaginario e che non si può eliminare con la sola liberazione del genere, poiché essa rimane come struttura di pensabilità.
Bisogna infatti tenere in conto che, nei processi di soggettivazione politica (ovvero i processi di adesione o ribellione al potere), il punto non è solo il pluralismo dei soggetti e la loro intersezionalità, ma anche la dimensione dell’inconscio. Altrimenti si rischia di dar vita a un Femminismo solamente sociale che però ignora completamente tutta quella parte della soggettivazione che ha a che fare con i processi psichici non razionali. E anch’io, come Ida Dominijanni, mi sento di dire che sarebbe una grave perdita oltre che un’occasione sprecata per comprendere sempre più a fondo ciò che riguarda la soggettività e la sua relazione col potere.
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