Margaret Gilbert è una filosofa contemporanea che si occupa di ontologia sociale, quella branca della filosofia che studia – letteralmente – l’essere della società: l’insieme dei ruoli e caratteristiche dei soggetti e degli oggetti sociali, dei meccanismi espliciti e impliciti che ne regolano i contesti. È quindi strettamente legata alla filosofia politica.
Se i principali filosofi dell’Illuminismo francese ci hanno illustrato le variabili che conducono al contrattualismo – in Hobbes, Locke e Rousseau le conseguenze governative divergono, ma possiamo rilevare il tratto comune di un contratto sociale a tutela di ciascun singolo – Gilbert aggiunge un ulteriore tassello: un gruppo non è la somma dei suoi individui, ma una identità propria.
Un concetto preliminare consente di esplicitare quello che possiamo chiamare il soggetto plurale nella teoria di Gilbert: l’idea di joint commitment (1), traducibile in italiano con impegno congiunto, che giocherebbe un ruolo fondamentale nella vita sociale degli esseri umani.
Se un impegno in sé e per sé non richiede più di una persona e la sua singola decisione, quello congiunto implica l’intenzione collettiva di più individui di giungere a un comune obiettivo, attuando tutto ciò che è nelle loro possibilità per ottenerlo. Non si tratta, però, di sommare le forze, è qualcosa di più: «A e B (e via dicendo) intendono collettivamente fare X […] se e solo se A e B (e via dicendo) sono congiuntamente impegnati a volerlo come fossero un corpo solo» (2). To intend as a body: Se Anna e Bernard – questi i nomi di A e B negli esempi di Gilbert – decidono qualcosa insieme, la loro volontà e anche la responsabilità non rispondono al personale impegno di Anna + al personale impegno di Bernard, bensì a quello di Annaebernard, soggetto che mira a un obiettivo partecipato.
Si va dunque oltre al “semplice” patto e ai relativi vincoli: si crea un nuovo soggetto che sembra governato da un’unica, comune, volontà.
A questo preciso atto di volontà dei singoli che sfocia nel soggetto plurale si potrebbe obiettare – e Nietzsche probabilmente lo farebbe (3) – che il postulato per l’esistenza di un joint commitment, anche comprensivo degli accordi espliciti che Gilbert stessa teorizza, sia l’assenza degli istinti individuali. È tuttavia un dato di fatto che i contesti sociali presentino frequentemente situazioni di conflitto, dovute anche “semplicemente” a interessi soggettivi, affetti (4), che concorrono anche all’interno di sfere valoriali condivise.
Diventa allora difficile scegliere arbitrariamente quale sia l’opzione più fedele alla realtà sociale: da un lato si può riconoscere – se si ha avuto fortuna nel proprio percorso di vita – la sensazione di un gruppo che diventa un uno che non è somma di tanti soggetti; dall’altro è difficile non accettare la presenza del rischio di egoismi anche quando si parte da presupposti disinteressati.
(1) Cfr. M. Gilbert, On social facts, Princeton University Press, 1989.
(2) M. Gilbert, Acting together, Joint Commitment, and Obligation, p. 157, trad. mia.
«Persons A and B (and so on) collectively intend to do X […] if and only if A and B (and so on) are jointly committed to intend as a body to do X».
Articolo scaricabile su www.academia.edu
(3) T. Andina, L’importanza degli affetti. Note per una ontologia sociale incorporata, “Rivista di estetica”, 53, 2013, pp. 179-195.
(4) Ibidem. Andina parla di una sterilizzazione degli affetti all’interno della teoria del soggetto plurale.
Immagine di copertina: https://www.ocregister.com/2006/10/24/uci-lands-renowned-philosopher/
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