Intelligenza artificiale e animali non-umani

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Intelligenza artificiale

La presenza sempre maggiore e pervasiva delle nuove tecnologie, in particolare quelle basate sull’Intelligenza Artificiale, porta con sé numerose implicazioni etiche rispetto a discriminazione, trasparenza, privacy, sostenibilità – per fare qualche esempio.


Tuttavia, un aspetto viene solitamente dimenticato o ignorato nel dibattito etico sull’IA: l’impatto – spesso negativo – che essa produce sugli animali non-umani.


A tal proposito, Andrea Owen e Seth Baum (1) evidenziano come l’etica dell’IA sia principalmente interessata a problemi riguardanti gli esseri umani, dando poco spazio alle “entità non-umane”: altri animali, ambiente, IA stessa (concentrandosi tutt’al più sullo status morale di quest’ultima).

Ne sono un esempio i numerosi statements etici prodotti a livello accademico, aziendale e governativo che talvolta sembrano includere i “non-umani”, ma principalmente in maniera indiretta e strumentale, nella misura in cui essi risultano funzionali agli interessi umani (2).

Similmente, i principi di human-centred AI o human-compatible AI, che promuovono un’intelligenza artificiale allineata ai valori umani, non rappresentano una garanzia di inclusione, dal momento che non sempre prevedono un riconoscimento morale delle altre specie (3).

Pertanto, anche nei rari casi in cui l’etica dell’IA sembra estendersi ad altre entità (principalmente ambiente e intelligenza artificiale), ciò avviene spesso in modo ambiguo e indiretto, col risultato che gli animali non-umani ne risultano di fatto esclusi e non considerati esplicitamente per il loro valore intrinseco

Vale la pena chiedersi il perché di questa esclusione. A tal proposito, Owe e Baum (4) prendono in esame la tendenza antropocentrica umana, distinguendo tra antropocentrismo etico “forte” – secondo cui solo gli esseri umani hanno valore morale – e “debole” che, pur riconoscendo talvolta un valore intrinseco ad altri esseri viventi, li considera comunque moralmente meno importanti.


Tuttavia, a detta dellз autorз, la mancata inclusione degli altri animali nell’etica dell’IA non è necessariamente dovuta a una forma forte di antropocentrismo, ma a un semplice disinteressamento generale, a cui è tempo di porre rimedio.


Questa omissione è stata recentemente portata alla luce anche da Peter Singer e Yip Fai Tse (5), i quali sottolineano la necessità di prendere in considerazione anche le altre specie, dal momento che l’IA può impattare negativamente sulla loro vita in molteplici modi, sia diretti che indiretti.

Il caso più emblematico su cui si soffermano è rappresentato dall’impiego dell’IA negli allevamenti intensivi, che include l’utilizzo di sofisticate tecniche di identificazione e previsione delle malattie, o di modelli per l’ottimizzazione del nutrimento e della crescita, oltre all’impiego di robot al posto degli operatori umani. In questo modo, nonostante alcuni benefici a breve termine (come un trattamento tempestivo e più efficace delle malattie), nel lungo termine l’IA contribuisce a un generale peggioramento delle condizioni degli animali allevati, poiché permette uno sfruttamento ancora più intensivo di un numero sempre più elevato di esemplari (6).

D’altra parte però, Singer e Tse suggeriscono che l’IA potrebbe costituire uno strumento per combattere gli stessi allevamenti intensivi, contribuendo alla ricerca di proteine alternative; ancora più in generale, essa potrebbe essere utilizzata a vantaggio degli animali non-umani in diversi campi, ad esempio fornendo metodi sostitutivi della sperimentazione in vivo.


Sembrerebbe quindi che l’IA rappresenti simultaneamente un’opportunità di miglioramento o un ulteriore rischio non solo per gli esseri umani, ma anche per altri esseri viventi, a seconda che sia impiegata a beneficio o a danno di questi ultimi.


Tutto ciò ricorda indirettamente quanto già sostenuto da Donna Haraway rispetto alla tecnologia in generale, intravedendone le potenzialità di trasformazione ed emancipazione grazie alla rottura e al superamento dei dualismi uomo/donna, umano/animale, naturale/artificiale, di cui è emblema la figura del cyborg (7). Tuttavia, come ricordato da Federica Timeto in Bestiario Haraway (8), c’è un’ambiguità nella tecnologia e nella sua relazione con gli animali non-umani, dal momento che essa potrebbe rappresentare un’occasione di “liberazione animale”, che però finisce spesso per tradursi in una nuova forma di sfruttamento o schiavitù (come nel caso della sperimentazione scientifica e della “macchinizzazione” dell’industria alimentare):

«I cyborg […] possono fare esperienza di una liberazione dai confini che li hanno identificati e subordinati. Tuttavia, per gli animali non umani […] costituisce una forma di colonizzazione e strumentalizzazione ancora più radicale della vita, […] contro e non per la liberazione» (9).


L’impiego dell’IA per o contro l’allevamento intensivo costituisce quindi un ulteriore esempio paradigmatico dell’ambiguità insita nella relazione animale-tecnologia.


Pertanto, alla luce del rapido affermarsi dell’IA e del suo duplice impatto su umani e altri esseri senzienti, l’etica dell’intelligenza artificiale ha il compito di includere anche gli animali non-umani nella propria riflessione (10).






(1) A. Owe, S.D. Baum, Moral consideration of nonhumans in the ethics of artificial intelligence, AI Ethics 1, pp.517-528, 2021.

(2) Ibidem.

(3) Ibidem.

(4) Ibidem.

(5) P. Singer, Y.F. Tse, AI ethics: the case for including animals, AI Ethics, 2022; e  AI Ethics: The Case for Including Animals by Peter Singer and Yip Fai Tse (AI Ethics: Global Perspectives).

(6) Ibidem.

(7) Ambra Lulli, Manifesto cyborg. Ieri e oggi, “Philosophy kitchen”, dicembre 2018.

(8) F. Timeto, Bestiario Haraway. Per un femminismo multispecie, Mimesis, Milano, 2020.

(9) Ivi, p.127.

(10) A. Owe, S.D. Baum, op. cit.