GRAZIE per le belle e numerose domande che ci avete posto in questi giorni!
Le abbiamo raccolte e ne abbiamo selezionate 17
Ecco qui le risposte…e tanti auguri a noi!
Ho letto della vostra bellissima iniziativa sul rispondere a qualsiasi domanda…io vorrei sapere se il patriarcato così come lo stiamo vivendo vedrà mai la fine? Gli uomini e le donne sono uguali o sono diversi? Perché non riusciamo a trovare una strada di armonia? Quando tutte le donne del mondo?
Leggi la risposta di CeciliaNonostante molti ci abbiano provato, e senza dubbio la tentazione sia forte e sempre presente, prevedere il futuro è impossibile, quindi non si può neanche affermare con certezza quale sarà il destino del patriarcato. I femminismi provano innanzitutto ad instaurare una riflessione su passato e presente, a criticare alcuni aspetti del mondo che conosciamo e a mostrare possibili vie per creare una società in cui tutte le persone potranno essere più autenticamente sé stesse.
Questo tentativo si intreccia inevitabilmente con la messa in discussione dei ruoli di genere, ovvero delle aspettative socio-culturali sulle identità degli uomini e delle donne. Il nocciolo della questione del genere è che alcune differenze biologiche tra uomini e donne vengono elevate a differenze ontologiche, istituendo così due categorie diverse di esseri umani (gli uomini e le donne appunto) e stabilendo regole molto rigide che tutte le persone devono seguire per poter appartenere a pieno titolo a queste categorie. L’idea che le donne siano in un certo modo e gli uomini in un altro è culturale, e questo è mostrato chiaramente dal fatto che studiando epoche passate o altri luoghi del mondo si incontrano società in cui ciò che oggi diamo per scontato e riteniamo essere naturale (e perciò giusto o impossibile da cambiare) è diversissimo, a volte addirittura opposto.
Unire tutte le persone in questa battaglia di libertà è forse la più grande sfida dei femminismi. Una delle difficoltà principali è che per poter aderire alla lotta è necessaria una presa di coscienza dei privilegi dei quali godiamo e dell’oppressione che esercitiamo su altri, e questo è per moltissime persone un grande ostacolo, perché non vogliamo vederci come oppressori.
Visti i recenti casi e indagini nelle RSA in cui vengono nascosti i reali numeri di decessi e contagiati mi sono chiesta, ma se lavorassi in una di queste strutture come potrei tornare al lavoro serenamente alla fine della quarantena?
Leggi la risposta di RobertaCredo che il ritorno alla routine pre-Coronavirus sarà problematico per tutti, specialmente per chi ricopre posizioni a contatto con il pubblico e, in misura maggiore – come giustamente sottolinei – per tutti coloro che lavorano nelle strutture medico sanitarie. Una delle cose fondamentali sarà il potersi sentire tutelati e informati rispetto alla situazione che stiamo vivendo, e che probabilmente ci accompagnerà per qualche tempo.
Senz’altro le gravi carenze riscontrate in un buon numero di RSA (ma anche in certa misura nelle strutture ospedaliere) ha dimostrato che la cooperazione e il dialogo tra i vari enti (privati e pubblici, comunali, regionali e statali) è la chiave per il controllo del territorio e quindi per la gestione delle pandemie. Non da ultimo va ricordato che le indagini sono ancora in corso, e che nonostante le numerose denunce a carico delle RSA come categoria, nella realtà ogni struttura ha una sua storia pandemica particolare, legata alla regione di appartenenza, ai fondi e alle agevolazioni che può ricevere dal territorio, alle abilità particolari della propria amministrazione, alle tipologie di pazienti residenti e dal loro numero, alla sua capienza e conformazione riguardo agli spazi e inerenti, soprattutto, alla possibilità e tempestività di riconoscimento del contagio e successiva reperibilità dei mezzi idonei a contrastarlo.
In questa situazione di smarrimento, dove ci sembra di essere fatti di cristallo, e nella quale molti di noi purtroppo ci hanno abbandonato, penso sia essenziale capire gli errori fatti in ogni contesto, RSA in primis, al fine di non ripetere questo triste copione. Quello che potrebbe rassicurare i lavoratori di questi centri potrebbe essere una maggiore attenzione – da raggiungere tramite le indagini – sia verso i pazienti che verso il personale. Ricostruire tappa per tappa, caso per caso, la mappatura di ogni scelta al fine di poter fare meglio, garantendo maggiore sicurezza e assistenza per tutti, non da ultimi anche i familiari-visitatori che frequentano queste strutture e che in queste settimane hanno vissuto lontano dai propri cari.
Forse la serenità non sarà il sentimento con il quale continueremo le nostre vite, e probabilmente non lo sarà nemmeno per coloro che lavorano presso le RSA, ma credo sia importante comprendere che laddove ci sono errori si possono trovare delle soluzioni e che, nel caso specifico, le indagini stanno verificando quanto omesso e sbagliato. La speranza, e credo anche l’esigenza di tutti gli enti territoriali e statali, è quella di contrastare il Covid-19 e a tale fine ci si sta muovendo, a scapito degli errori commessi caso per caso.
Io ho una domanda per festeggiare il compleanno. Vorrei sapere (più che alto consigli di lettura) quali sono tre libri di ambito filosofico consigliate caldamente: cioè quei libri che hanno in un certo senso modificato il vostro punto di vista su qualcosa grazie se risponderete
Leggi la risposta di IlariaQuesta è indubbiamente una domanda che richiede una risposta alquanto soggettiva, perciò da prendere come tale. I testi di carattere filosofico che hanno avuto più impatto emotivo su di me – e che di conseguenza ricordo con maggior entusiasmo – fortunatamente non si possono ridurre a soli tre libri, anche perché la filosofia racchiude in sé così tanti settori da essere in grado di coinvolgere i più disparati pensieri e civiltà, troppi da elencare.
Sicuramente mi sento di consigliare La filosofia e le sue storie, di Umberto Eco e Riccardo Fedriga: consta di tre volumi, i quali vogliono affrontare la filosofia dall’antichità sino all’epoca contemporanea: un ottimo compendio per chi è alle prime armi e non.
Un altro libro molto apprezzabile è Quindici lezioni su Platone di Mario Vegetti, uno dei primi testi studiati durante la triennale, nel complesso molto interessante e chiaro nell’affrontare il pensiero platonico.
Per chi fosse inoltre amante come me della corrente esistenzialista, consiglierei invece Al caffè degli esistenzialisti di Sarah Bakewell: un preciso riassunto della filosofia e della cultura parigina e non, e che vede come protagonisti Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Maurice Merleau-Ponty, Albert Camus, ma anche Martin Heidegger (per aggiungere un po’ di fenomenologia al tutto).
Per gli appassionati della filosofia del linguaggio, raccomando caldamente Filosofia della comunicazione di Nicla Vassallo e Claudia Bianchi; per chi preferisce invece inoltrarsi nel fantastico mondo della linguistica e della neuroscienza, I confini di Babele di Andrea Moro, uno studioso che apprezzo molto per il suo modo semplice e incisivo di insegnare.
Infine, una croce e delizia dei miei primi esami universitari, un volume che per mesi ho detestato ma che a posteriori ricordo con un leggero sorriso in viso: Storia del nulla di Sergio Givone, ossia un libro che parla appunto del…nulla! Tuttavia questo testo mi ricorda paradossalmente perché ho deciso di intraprendere questa facoltà: prendere un singolo termine e sviscerarlo secondo tutte le prospettive possibili, così da totalizzarlo intellettualmente.
Spero che questi consigli di lettura vi piacciano e che ne trarrete ispirazione com’è stato per me!
Come si fa a non iniziare 12 libri alla volta e non finirne nemmeno uno?
Leggi la risposta di GloriaBello scoprire di non essere l’unica! Me lo sono chiesta anche io, soprattutto durante questa quarantena in cui questa mia (nostra!) tendenza si è amplificata. In generale e idealmente, credo sia imputabile all’incostanza umana. Siamo esseri instabili per natura ed estremamente lunatici. Un giorno vediamo o sentiamo qualcosa che ci entusiasma e ci fiondiamo su quella cosa; ci svegliamo, però, già la mattina successiva catapultati dentro un’altra passione, con l’intenzione di scoprire e approfondire qualcos’altro. Vogliamo conoscere, conoscere, ma il vento incerto delle passioni ci porta, come su una nave, da una parte e l’altra, senza tenerci dritti sulla nostra rotta. Aprire un libro è aprirsi ad un mondo nuovo ogni volta, ma la nostra realtà attuale ci sta sempre un po’ stretta. Quando si sta fuori 15 ore al giorno, si sogna di poltrire sul proprio divano. Quando si sta troppo in casa, si rimpiange, invece, lo stress quotidiano. Non siamo mai contenti, insomma e ciò è maledettamente umano ed è spesso legato alle aspettative che ci creiamo delle cose. C’è da dire che il marketing e il “sentito dire”, spesso non aiutano. Sentiamo parlare di un libro, lo compriamo, lo iniziamo a leggere e, trac, crolla tutto e ne rimaniamo delusi. Ci arrabbiamo, dentro di noi, con l’autore, con la pubblicità, con la persona che ce l’ha consigliato e un po’ con noi stessi: perché piace a tutti e io lo trovo banale e di una noia pazzesca? Insomma, difficile dare una soluzione alla domanda, ma credo che un bel libro sia come un amore vero: quando arriva lo riconosci e te lo godi tutto senza esitare. Forse devi solo trovare la tua anima gemella cartacea.
L’amore non ricambiato, che senso ha?
Leggi la risposta di MartinaCar* amic*,
L’Amore non corrisposto è tremendo: mette un sacco di dubbi su quello che dovremmo essere, su ciò che dovremmo fare. Cosa ci manca? Perché non funziona?
Il mio suggerimento è: prova a guardarlo da un’altra prospettiva. E se l’Amore non fosse una cosa a due? Se fosse, invece, un atto gratuito, che destiniamo a una persona perché la riteniamo speciale? Questo permette di dare valore all’Altr* in-se, indipendentemente dal valore che assumerebbe per-noi.
A volte tendiamo a essere un po’ egoisti, a livello relazionale. Mi è capitato spesso che qualche ragazzo, che avrebbe potuto rivelarsi un ottimo amico, sia sparito dalla mia vita perché non provavo dei sentimenti per lui: in questi casi mi sono quasi sentita usata. Gli piacevo io, oppure l’idea di avermi?
Mi rendo conto che questa prospettiva sia poco altro che una magra consolazione: non toglie la tristezza, non elimina la mancanza. Tuttavia, è un allenamento quotidiano a non considerare le cose o le persone in modo strumentale. Fa male, ma alla lunga permette di costruire dei rapporti sani e fruttuosi con gli altri, restando autonomi e amando senza condizioni. Un po’ come l’Arte, l’Amore è gratuito, e lo si può provare senza che venga ricambiato. Non per questo è meno importante o meno sensato: non ha una conclusione, si fa per dire, “narrativa”, ma insegna tanto su noi stessi, sui nostri modi di concepire le relazioni, sul perché ci piace o non ci piace qualcuno.
Tra le pagine inedite dei suoi Frammenti di un Discorso Amoroso, Roland Barthes parla di mutualità, piuttosto che di reciprocità:
«Quando la madre aiuta il bambino a mangiare, senza eccedere in coccole o in un atteggiamento distaccato, quando ella accompagna il cibo, lasciando agire tuttavia la mano del bambino, accontentandosi di guidarla dolcemente, si produce uno spazio di attività mutuale, al tempo stesso differenziata e cooperante. Così per la relazione amorosa: non reciproca ma mutuale; l’altro mi tiene la mano, mi insegna qualcosa, mi modifica; cionondimeno io faccio altrettanto con lui. »
Cosa ne pensate della filosofia orientale rivisitata in occidente?
Leggi la risposta di ClaudiaÈ stato Arthur Schopenhauer il primo grande filosofo occidentale dell’epoca moderna a portare la filosofia orientale in Occidente. Da allora l’interesse per questa materia è cresciuto, anche se la diversità con cui si è manifestata rispetto alla filosofia Occidentale porta spesso molti (anche filosofi) a sottovalutarla. Nelle aule delle facoltà di filosofia italiane, i corsi universitari a riguardo non sono molti e di sicuro non sono obbligatori. Spesso, inoltre, la conoscenza che si ha della filosofia orientale è superficiale e confusa, ancora troppo imbevuta dei nostri pregiudizi e della nostra visione del mondo occidentale. La filosofia orientale, infatti, è nata da una cultura, una storia, una civiltà molto diversa dalla nostra e che non conosciamo adeguatamente. La filosofia orientale però ne è una manifestazione, non ne è separabile, se vogliamo capirla a fondo e non ci vogliamo limitare a una versione rivisitata, adatta a occhi e orecchie occidentali, ma poco autentica. Prendiamo lo yoga ad esempio. Oggi va molto di moda e ci sono corsi di molti tipi nelle palestre, app per esercitarsi da casa, lo vediamo nelle scene dei film o anche nelle pubblicità. Ma al di là della versione commerciale che arriva a noi, si tratta di una disciplina che vanta tre millenni di storia e che porta con sé una filosofia che tratta temi cari anche alla tradizione occidentale. In realtà lo yoga è molto più vicino alla filosofia antica come la intendeva Pierre Hadot che a un qualsiasi corso di aerobica. Molto spesso ci arrivano versioni semplificate e decontestualizzate di saggezza antica appartenente a una civiltà (storicamente e ancora oggi) diversa dalla nostra, che dovremmo conoscere meglio per poterne apprezzare la profondità. La filosofia orientale è una manifestazione del pensiero umano dunque può parlare a tutti noi, se siamo pronti ad ascoltarla con rispetto e attenzione.
p.s.
Consigli di lettura per iniziare ad entrare in contatto con il vastissimo mondo della filosofia orientale in modo non superficiale:
Z. Mangusta, Le infradito di Buddha, Ponte alle Grazie, Firenze, 2014.
S. Cope, La saggezza dello yoga, Feltrinelli, Milano, 2009.
Che cos’è il revenge porn?
Leggi la risposta di GerardinaIl revenge porn, traducibile in italiano con pornovendetta, è una forma di violenza che si perpetra mediante la pubblicazione di video o foto con contenuto intimo e privato. La diffusione di tale materiale avviene all’oscuro della vittima, che è ignara della propagazione senza consenso della sua immagine per via telematica (su piattaforme social, come Youtube, Facebook, Instagram, o su chat private, come Whatsapp, Messenger o il famoso caso dei gruppi Telegram).
Spesso, alla diffusione di contenuto intimo, è accompagnata la pubblicazione di materiale sensibile, come nome, cognome, numero di telefono e indirizzo di residenza. Al revenge porn sono inoltre associate pratiche di linciaggio, anche collettivo, e atti persecutori e di stalking.
La quasi totalità delle vittime di revenge porn è donna; spesso fidanzata, ex-fidanzata, partner sessuale, ma anche amica, conoscente o sconosciuta, le cui immagini sono prese senza consenso da piattaforme social e poi diffuse.
La pratica del revenge porn si poggia su alcune concezioni discriminatorie, parte di una cultura patriarcale, che concepiscono la donna come un oggetto sessuale o una proprietà dell’uomo (marito, compagno, ma anche padre o fratello), rinnegandone l’autononia e l’autodeterminazione. La vittima è, infatti, considerata proprietà dell’aggressore che, non accettandone la soggettività e la libertà personale, mette in atto questa pratica allo scopo di punirla e di ristabilire il proprio dominio.
Alla base del revenge porn c’è quasi sempre un rifiuto, come la fine di una relazione o il rifiuto di avances, che viene percepito dall’aggressore come perdita di potere e di integrità. Proprio questa percezione distorta porta l’aggressore ad attuare una vendetta, allo scopo di ledere la vittima e di ristabilire la sua autorità e il suo possesso.
Il revenge porn causa nella vittima gravi danni psicologici tra cui ansia, fobia sociale, depressione, paura di uscire di casa, sensazione di non essere mai al sicuro. La perdita del controllo della propria immagine porta la vittima ad autocolpevolizzarsi e considerarsi responsabile di ciò che le è accaduto. L’impatto sulla psiche è tale da condurre spesso ad atti di autolesionismo e persino al suicidio.
Il filosofo più femminista?
Leggi la risposta di ElenaÈ sicuramente difficile rispondere in modo obiettivo a questa domanda, per questo prenderò come punto di riferimento il primo filosofo che nella storia si è occupato non solo a livello teorico della causa femminista, ma che si è anche attivamente impegnato a livello pratico nella sua realizzazione: Stuart Mill. Egli pubblicò nel 1869 il saggio La servitù delle donne: in esso analizzò, assieme a sua moglie Harriet Taylor, scrittrice femminista, come la libertà civile e politica degli individui, valore fondamentale di ogni cittadino, fosse garantita solo agli uomini. In quest’opera Mill denunciò l’asservimento legalizzato delle donne, affermando che nelle relazioni sociali di genere avrebbe dovuto esistere un’uguaglianza perfetta, senza privilegio di potere di un sesso sull’altro. Il filosofo liberale fu molto sensibile alle problematiche legate all’emancipazione della donna, anche se indirizzò la sua riflessione alla donna borghese più che alla donna proletaria. Mill sosteneva fortemente e si impegnò in modo attivo per la partecipazione femminile all’elaborazione delle norme dell’ordinamento giuridico, per il diritto di voto e per l’eleggibilità politica delle donne. Nel 1865, durante l’attività da deputato liberale per il Parlamento del collegio londinese, si batté per dare il diritto di voto alle donne (ma solo alle proprietarie e benestanti), proposta che però non fu accolta dalla maggioranza parlamentare. Vorrei ricordare anche il pensiero di un grande filosofo antico: Platone, che nonostante sia vissuto tra il 300 e il 400 a.C., sostenne ne La Repubblica che le donne dovessero avere gli stessi diritti e doveri degli uomini, essere educate al loro pari e qualora avessero avuto l’anima razionale maggiormente sviluppata avere la possibilità di diventare anche filosofe e governare la città. Per concludere vorrei anche citare Lorenzo Gasparrini, filosofo contemporaneo che si occupa della causa femminista, e consiglio caldamente la lettura del suo ultimo libro No. Del rifiuto di come si subisce e di come si agisce, e del suo essere un problema essenzialmente maschile.
Sono una donna di 34 anni, nella vita ho sempre sofferto d’ansia e sono sempre stata poco incline alla socializzazione, sin da quando ero bimba… Fino a prima di questo periodo buio, fatto di mascherine, guanti e distanze, vivere la mia vita quotidiana con me stessa non era sempre facile, ma vivibile e stare a casa mi piaceva, mi faceva sentire protetta, mi faceva avere l’ “illusione” di avere tutto sotto controllo. Adesso, a distanza di 45 giorni dall’inizio di tutto questo in cui non esco di casa se non una volta ogni dieci giorni per fare la spesa e le commissioni di prima necessità e in un unico giro ben programmato. Comincio a sentirla stretta, ma al contempo ho paura ad uscire e i miei livelli di ansia schizzano alle stelle. Arrivo al dunque, vivendo in una società dove la maggior parte delle patologie non vengono riconosciute tali dalla stessa OMS, perché significherebbe ammettere di avere un problema alla base della qualità della nostra vita finalizzata alla ricchezza e non al benessere degli individui, in che modo posso pensare di tornare ad avere un equilibrio quando tutto questo finirà? In che modo posso affrontare questa paura sociale, senza sentirmi soffocare dall’ansia ogni volta che devo andare in un posto dove so che ci saranno molte persone, se già prima avevo difficoltà?
Leggi la risposta di SofiaNon so se sia più la filosofia o l’empatia a spingermi a rispondere a questa domanda, cara donna di 34 anni, né so quale delle due userò davvero per risponderti. Una notte piangevo angosciata, ripetendomi costantemente che avrei voluto essere carapace, non spugna: avrei voluto avere il mio guscio sempre con me, sempre sulle mie spalle, sempre pronto a fornirmi un rifugio sicuro e robusto. E vorrei smettere di assorbire il mondo fino a sentirmelo scorrere nelle vene. Forse parlo un po’ a te come parlerei a me: sforziamoci di diventarlo, carapace. Sforziamoci di costruire questo guscio, ricordiamoci che siamo animali e come tali siamo capaci di mutazioni che ci consentano di adattarci ai cambiamenti. Rendiamoci il nostro migliore rifugio, portiamoci in giro sicuri di essere il nostro stesso riparo dalle tempeste che ci circondano, che continueranno a circondarci. Arrediamoci in modo da volerci abitare, non trascuriamo le esigenze che l’ambiente ci pone, consideriamo l’altro, il perpetuo incontro e scontro cui il mondo ci spinge. E non dimentichiamo quel detto, che alla fine la vita è come una bicicletta: è necessario un movimento perpetuo per stare in equilibrio.
Quindi ecco: rendiamoci carapace, nostro rifugio, ma non pretendiamo la cristallizzazione dell’esterno.
Domanda probabilmente scontata, visti i tempi: al di là di quelle che saranno le scelte legislative, esiste davvero una violazione della privacy “indispensabile” a cui noi cittadini non possiamo sottrarci, per motivi come una pandemia o il terrorismo? Molti dicono che alla fine non sarebbe niente di diverso da ciò che spesso accade quando consentiamo a delle app di raccogliere i nostri dati: tralasciando il fatto che in un caso posso sottrarmi e in un altro no, e fermo restando l’importanza di interventi che limitino l’impatto (in questo caso) di una pandemia sulla popolazione, non è più corretto che lo Stato protegga i cittadini in primis da eventuali abusi provenienti direttamente dai propri organi, non così difficili da immaginare con uno Stato che sa tutto dei propri cittadini, rispetto ad eventi di cui non avrà mai davvero il pieno controllo?
Leggi la risposta di NicolettaLa questione dello sviluppo dell’applicazione di contact tracing “Immuni”, sviluppata a Milano dalla Bending Spoons, è sicuramente al centro di un grosso dibattito. Possiamo dire in generale che la chiarezza in merito a come questa applicazione funzionerà è mancata. Quello che è stato dichiarato dalla Pan-European Privacy Preserving – Proximity Tracing (Peep-pt) è che l’installazione dell’applicazione sarà su base volontaria, il tracing avverrà tramite Bluetooth e non tramite GPS, e sembrerebbe che non ci saranno limitazioni per chi sceglierà di non installarla. Tuttavia lo scetticismo verso questo sistema permane, soprattutto per quanto riguarda i dati degli utenti, che verranno raccolti in un sistema centralizzato e non si sa se la privacy sarà garantita con assoluta certezza. L’idea di creare un’applicazione che ricalca il modello coreano nasce per cercare di contenere il più possibile il contagio da Covid-19. Filosoficamente parlando l’argomentazione che si adduce in favore di questa applicazione è quella del male minore: in vista di un bene superiore, ovvero l’arginamento del contagio, ognuno di noi deve fare un sacrificio, ovvero rinunciare a un po’ di privacy. Tuttavia non è così semplice: anche se è stato dichiarato più volte che i rischi per la privacy sono ridotti al minimo perché i nodi, cioè i dispositivi hardware nella rete che sono in contatto con altri dispositivi, resteranno anonimi, in realtà una volta conosciuta la rete dei contatti non sarà difficile risalire alle persone che corrispondono ai singoli nodi (1) e, inoltre, un sistema di raccolta dati centralizzato si espone maggiormente a rischi di hackeraggio. È vero che, navigando online spesso acconsentiamo alle app o ai siti di raccogliere i nostri dati, e lo facciamo quasi senza pensarci, tuttavia sarebbe bene che lo Stato pensasse a delle consone regolamentazioni. Senza scivolare in teorie complottiste, occorre sottolineare che dovrebbe essere garantita la massima buona fede e la massima trasparenza nella gestione dei dati degli utenti, in quanto uno Stato democratico ha il compito di tutelare i diritti individuali dei cittadini, qualunque siano le circostanze in cui ci si venga a trovare, altrimenti il rischio che si profila è quello della sorveglianza sociale. Inoltre, anche se fosse assicurata la garanzia totale sulla gestione dei dati, sorgono comunque altri problemi: prima di tutto il fatto che non tutti hanno le competenze digitali necessarie per fruire dell’applicazione, o anche, banalmente, non tutti possono permettersi l’acquisto di un dispositivo smartphone; altro problema è che sarebbe possibile “imbrogliare il sistema” semplicemente lasciando il cellulare a casa; infine, c’è un problema che riguarda l’utilità stessa dell’applicazione, solo se la maggioranza delle persone installerà “Immuni” questa misura di contenimento sarà efficace. In conclusione, questo sistema chiama in causa molte tematiche importanti: c’è bisogno di maggiore chiarezza da parte delle autorità e ognuno di noi dovrà fare le proprie attente valutazioni critiche.
Consigli per chi deve iniziare la tesi? Le vostre esperienze a riguardo?
Leggi la risposta di MonicaLa difficoltà maggiore nello scrivere la tesi credo sia l’individuazione dell’argomento sul quale la si voglia svolgere, soprattutto perché deve essere di gradimento anche della relatrice o del relatore. Se ne hai la possibilità, non scrivere di ciò di cui non sei davvero convinta/o. La stesura della tesi di laurea deve essere un momento divertente in cui dare sfogo alla passione per quello che stai studiando. Una volta concordato l’argomento, non ti rimane che tuffarti nella bibliografia di partenza, prendendo nota dei riferimenti bibliografici che possono essere interessanti da aggiungere nella tua ricerca. Molti professori richiedono un indice dettagliato da approvare prima di iniziare a scrivere il corpo della tesi, se questo ti blocca prova a focalizzarti sulla struttura generale che vorresti dare al tuo lavoro, dividendolo a grandi linee nelle parti (o capitoli) che pensi potrebbero essere adeguati per sviluppare la tua ricerca; ma ricorda, è un lavoro in continuo mutamento quindi non bloccarti perché pensi di dover avere subito le idee chiare, è controproducente! Infine il dubbio che affligge tutte e tutti: da dove comincio? A me è sempre stato utile partire dall’introduzione, ovviamente abbozzata, ma che ogni volta mi ha permesso di mettere in ordine le idee dandomi il “la” da cui partire. Un consiglio per concludere: se non hai ancora terminato le letture che hai in bibliografia, ma senti di avere già abbastanza materiale per iniziare a scrivere, buttati! Non fissarti sull’idea che non puoi iniziare la stesura della tesi finché non hai terminato di leggere tutta la bibliografia: abbozzare il punto di partenza del tuo discorso può aiutarti a comprendere come è meglio indirizzarlo e se occorre fare qualche cambiamento nelle letture che stai svolgendo. Buona fortuna!
Quarantena: il bene comune è nella vita degli individui o nel prosperare dell’economia comune?
Leggi la risposta di BiancaIn Italia, secondo i dati ISTAT, in media il 55,7% degli addetti nei settori “attivi” si è recato a lavoro durante il lockdown. Dunque, ogni giorno circa 5 milioni di persone hanno messo a rischio la propria salute, soprattutto considerata l’assurda carenza di dispositivi di protezione, che scarseggiano negli ospedali, figuriamoci nelle industrie o negli uffici. Tante imprese apparentemente non “essenziali” sono rimaste aperte e tanti uffici non hanno permesso o non hanno avuto modo di permettere ai propri dipendenti di lavorare da casa. In tutto ciò va tenuto in considerazione che è difficile scindere nettamente tra bene comune ed economia: alcuni settori muovono tanto l’economia quanto la vita della collettività, perché lavorano al fine di garantire servizi che permettano che il sostentamento comune possa proseguire.
Tuttavia, L’emergenza Covid-19 ha palesato le contraddizioni alla base del sistema capitalistico: un ostentato ottimismo a suon di “andrà tutto bene” da un lato e il favorire l’economia dall’altro, alle volte a discapito della tutela della vita degli individui, quando dovrebbe essere categoricamente così: andrebbe tutelato il bene di tutti, ovvero la salute, non l’economia. Questo è lo stato emergenziale che non passerà con il ritorno alla “normalità”, ma dovrà essere spunto di riflessione.
Com’è possibile credere che ci sia un “piano” per cui è giusto che alcuni muoiano anzitempo?
Leggi la risposta di SimonaFin dall’antichità l’uomo si è interrogato sul tema della morte e sul suo significato. Il mondo classico considerava la morte come un momento di transizione dalla realtà terrena, riservata alle anime in unione con i corpi, all’aldilà, abitato solo dalle anime dei defunti. Nel medioevo l’uomo subiva la morte e non cercava né di sottrarvisi né di acclamarla.
L’uomo contemporaneo, invece, è alla spasmodica ricerca del benessere, intrappolato nella frenesia del quotidiano, così non trova il tempo per riflettere sulla morte.
Dunque la popolarità di questo tema si muove in parallelo con la sua cosciente rimozione da parte della cultura occidentale. Il timore della morte regola, inevitabilmente, i comportamenti umani, sia quelli propri del singolo sia quelli della collettività. La morte è certamente un mistero, non possiamo farne esperienza diretta ma di “anticipazione” attraverso l’angoscia per la morte dell’altro e nell’esperienza di distacco dalla persona cara ciascuno di noi prende atto della propria finitudine.
Ma come accettare una morte precoce? Genitori straziati dal dolore si interrogano sulla morte del loro bambino, giovani stroncati da mali incurabili, altri hanno perso la vita in giovane età per annegamento, terremoti, incendi, guerre o altre disgrazie, certi ragazzi sono causa della propria morte perché fanno uso di droghe, alcool o perché guidano l’auto sfrenatamente.
Gli uomini muoiono, a un’età o a un’altra, perché siamo nati in un sistema in cui ognuno alla fine dovrà morire, Marco Aurelio lo intendeva come riposo o cessazione dalle cure della vita:
La morte riguarda tutti, non fa distinzione alcuna, c’entra poco il fatto che la persona morta fosse giovane, anziana, più o meno intelligente, buona o cattiva. Spesso la morte è una causalità, trovarsi in un particolare luogo e in un determinato momento.
La morte è intesa dalla filosofia come una possibilità esistenziale, pertanto essa non è un evento particolare, situabile in un momento specifico dell’esistenza dell’uomo, frutto di un piano predefinito, ma una possibilità sempre presente nella vita umana e tale da determinare le caratteristiche fondamentali di essa.
Cosa ne pensate degli scambisti?
Leggi la risposta di MartinaIl fenomeno dello scambismo, così come ogni espressione della sessualità che non rientri nei parametri che il senso comune percepisce come “normalità”, corre il rischio, agli occhi più miopi, di essere categorizzato come manifestazione perversa, in quanto trasgressione della monogamia e del possesso reciproco, porti sicuri delle coscienze occidentali e non.
Se già il termine perversione vede un utilizzo controverso anche nei settori addetti ai lavori, ancora più pericoloso è lasciarlo in pasto alle chiacchiere da bar.
Tanto gli swinger quanto qualsiasi individuo che pratichi una relazione non monogama non devono essere categorizzati come soggetti che vivono una sessualità insana: non sta scritto da nessuna parte che l’amore debba essere vissuto solo ed esclusivamente in due. Probabilmente la vera trasgressione da parte dello scambismo nei confronti della monogamia è la condivisione, la capacità di andare oltre un amore mutuamente esclusivo, il tutto all’insegna dell’esplicito rispetto della consensualità e della volontà di tutti i soggetti coinvolti nella relazione. In altri termini, qualsiasi interpretazione e approccio all’amore e alla sessualità gode del diritto intrinseco all’autodeterminazione di esprimersi senza il giudizio dell’altro: monogamia, poligamia, scambismo, poliamore, relazione aperta, omosessualità, eterosessualità, bisessualità, asessualità e qualsiasi sfumatura che presupponga consenso, consapevolezza, felicità nella propria espressione possono e devono coesistere senza che nessuna di essa si elegga a migliore o più giusta di un’altra.
Se dovessi scegliere tra avere accesso ad informazioni rilevanti ma riservate riguardanti questa pandemia, o avere l’immunità per te e la tua famiglia, quale delle due sceglieresti? Vai Filosofemme
Leggi la risposta di RobertaIl quesito mi pone di fronte a un bivio con coinvolgimento personale, infatti non solo devo scegliere cosa fare ma, soprattutto, il mio interesse privato – l’immunità per me e la mia famiglia – è chiamato in causa direttamente.
In questa pandemia la fragilità di tutti noi si è manifestata come la nostra più peculiare caratteristica: siamo tutti esposti – anche se in diverse misure – al contagio. nonostante questa comunione di condizioni generali, i nostri mezzi per far fronte alla quarantena, il nostro sistema immunitario, nonché la nostra salute psicofisica generale, sono diversi.
Queste divergenze soggettive sono spesso un vantaggio di non poco rilievo, specialmente in momenti di stress e ansia sociale dove, tra la miriade di informazioni e le convivenze non sempre rosee, aspettiamo la fine dell’isolamento da quasi due mesi.
Con questa premessa mi affaccio all’etica utilitaristica: sceglierei di avere accesso alle informazioni rilevanti e riservate al fine di poter giovare al maggior numero di persone possibili.
Ma con la stessa scelta guardo anche verso l’etica della cura e a quella della virtù: sceglierei il bene collettivo perché credo che sia importante agire prestando attenzione alla vulnerabilità di tutti noi e, al tempo stesso, kantianamente, penso che sia necessario agire per come vorremmo che gli altri agissero verso di noi.
Devo però fare un paio di precisazioni: per “informazioni rilevanti e riservate” ho inteso tutte quelle conoscenze che potrebbero svelare cose nuove e utili – almeno per la popolazione – rispetto a quest’emergenza; notizie che aiuterebbero a far chiarezza sulla natura del Covid-19, sulla genealogia del suo contagio, sulle responsabilità politiche e sociali – nonché economiche – inerenti alla conduzione dell’apparato sanitario, ecc.
Insomma, delle nozioni che permetterebbero a tutti di avere maggiore consapevolezza della situazione al fine di poter prendere le precauzioni necessarie, sia nel presente che nel futuro, senza il rischio di finire nelle trame, tanto intriganti quanto assurde, di molte fake news.
Rinuncerei alla mia immunità personale e a quella dei miei cari – non senza fatica – nella speranza che una volta divulgate queste informazioni non solo altri, ma anche noi, potremmo giovarne e, in caso contrario, nella certezza che è la cosa giusta, sia perché così facendo – presumibilmente – salverei più vite, sia perché a parti inverse vorrei che altri preferissero l’interesse collettivo (in questa situazione) rispetto a quello personale.
Chi c’è dietro Filosofemme?:)
Leggi la risposta di LisaDietro Filosofemme ci sono io, Lisa, insieme a tutte queste meravigliose filosofe che scrivono sul sito, aiutano in redazione e che oggi hanno risposto alle domande selezionate.
Senza loro questo posto perderebbe tutta la sua ricchezza, ma anche senza chi legge e si appassiona ai temi che trattiamo tutto questo non sarebbe così. Grazie.
Cosa avete ottenuto in questi due anni? Quali sono i prossimi progetti?
Leggi la risposta di LisaIn due anni abbiamo ottenuto tantissimo, siamo partite in cinque e oggi siamo una trentina di filosofe da tutta Italia e continuiamo ad avere la casella piena di proposte per scrivere sul sito. Tutto questo mi riempie il cuore di gioia e sono convinta sempre di più che ci fosse bisogno di uno spazio in cui poter dare voce alle filosofe.
I prossimi progetti puntano alla sempre maggiore partecipazione e qualche bella collaborazione…insomma, le sorprese sono sempre dietro l’angolo! 🙂
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