Adriana Cavarero: Differenza e Relazione parte II

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Leggi la prima parte dell’articolo qui!

Ora però salutiamo Platone e Aristotele e facciamo un enorme salto in avanti nel tempo, fino alla Rivoluzione Francese (1789). È da questo particolare momento, che ha segnato una svolta radicale nel corso della storia dell’umanità, che anche le donne iniziano ad avere la necessità di raccontarsi e costruirsi come soggettività libere e liberate.


Qui si apre però uno dei problemi fondamentali della filosofia femminista, ovvero la sua tensione tra il concetto di uguaglianza e quello di differenza: quale scegliere per portare avanti questa lotta?


In un primo momento, il neonato movimento femminista emancipazionista sceglie la strada dell’uguaglianza per ottenere la tanto agognata parità di genere: senza di esso, nessuna delle libertà che oggi noi donne diamo quasi per scontate sarebbero state possibili, perciò non dimentichiamoci mai di ringraziare quelle prime donne che hanno sacrificato tutto, spesso anche la loro vita, per poterci permettere di essere dove siamo.
E, non dimentichiamocene, siamo arrivate molto lontano. Però se siamo qui, io a scrivere e voi a leggere, vuol dire che ancora non siamo arrivate. No, perché infatti l’uguaglianza non basta per arrivare.

Non è abbastanza perché le donne non sono uomini; e in un mondo fatto da e per gli uomini, noi donne, se vogliamo essere uguali a loro, possiamo solamente scegliere di omologarci e adattarci (con fatica) a ruoli e spazi pensati e creati “al maschile”. Questo si vede subito appena si lascia il mondo dello studio e ci si affaccia su quello del lavoro: se prima l’uguaglianza ci sembrava pienamente raggiunta, ora ci si accorge che quell’uguaglianza formale si scontra con l’ordine simbolico aristotelico che non smette mai di ricordarci che le donne si occupano meglio dei corpi, che il loro ambiente “naturale” è la casa, e non la polis, non la politica, il lavoro: quelli sono ruoli che spettano per natura all’uomo (basti sapere che perfino in Statale a Milano su 48 docenti ordinari solamente 2 sono donne!). 


Ma allora che fare? Come ottenere la parità di genere se nemmeno l’uguaglianza funziona, se anche quello che pensavamo di aver ormai ottenuto da tempo è spesso una pura e semplice conquista formale che si scontra così violentemente con la realtà dei fatti?


Come farci valere e rispettare, come costruire la nostra propria soggettività di donne se la nostra cultura continua imperterrita a ricondurci nei soliti ruoli stereotipati di donna domestica e donna puttana? Una possibile risposta potrebbe essere: lavorando sul terzo stereotipo femminile, quello della donna come essenza irriducibile, incomprensibile, sfuggente. Ed è questa la strada intrapresa da una seconda e più tarda ondata di femminismo, ovvero quella che si riconosce nel pensiero della differenza, come la nostra Adriana Cavarero. Questo pensiero della differenza altro non è che un modo di costruire il soggetto femminile a partire non da idealizzazioni del soggetto (come quello platonico), ma da pratiche di vita e di immaginazione, dalla costruzione e rielaborazione di un immaginario femminile che sfrutti l’unico stereotipo femminile non oggettivato

Una volta chiarito un concetto che ormai dovrebbe essere chiaro anche ai più testardi, ovvero che essere femministe e femministi non vuol dire ribaltare il tradizionale schema binario per cui un genere è migliore di un altro, possiamo cercare di capire come si descrive questa soggettività femminile.


La sua caratteristica principale è quella di essere un soggetto vulnerabile: attenzione, non debole! Vulnerabile significa letteralmente “aperto alle ferite”.


Questo concetto è molto importante, soprattutto in un’epoca come la nostra in cui l’idea di soggettività prevalente è quella di soggetto sovranista, belligerante ma invulnerabile, in se stesso o nella sua patria. È inoltre un soggetto originariamente relato, che ha relazioni e si costruisce attraverso di esse. Perché diciamocelo, il soggetto autonomo irrelato e verticale di Platone, ma anche di Cartesio (“cogito ergo sum”) e di Kant (“la legge morale in me”) è un soggetto idealizzato che descrive una condizione umana che nella realtà dei fatti non viene mai sperimentata. Infatti non può esistere un soggetto del genere per il semplice motivo che nessuno può formarsi totalmente da solo, perché la relazione è la base della nostra vita, e quindi non serve a niente pensare a un soggetto astratto da innalzare a modello pur sapendo che si tratta di un modello irraggiungibile!


Non siamo solo mente, ma anche corpo, e questo la filosofia lo ha spesso dimenticato.


E proprio il corpo è alla base della prima e più fondamentale relazione indispensabile alla creazione di una nuova vita: quella del figlio che nasce dal corpo della madre, ovvero da un corpo sessuato al femminile. Questa riflessione ha dato modo alle femministe di ripensare e ricostruire, per esempio, lo stereotipo della donna madre, depurandolo dall’aspetto servile ereditato dal pensiero aristotelico. Inoltre, proprio per ricordarci che siamo anche corpo, il pensiero della differenza si fonda su un’etica dell’esposizione, del bisogno, dell’inclinazione verso l’altro (un soggetto inclinato quindi, non più verticale come in Platone); un soggetto aperto alla ferita perché il soggetto, in quanto incarnato in un corpo, è sempre vulnerabile

Siamo finalmente giunti al termine di questo nostro viaggio filosofico alla ricerca delle origini della disuguaglianza di genere e della nascita del pensiero femminista.


Prima di concludere, però, vorrei lasciarvi con tre consigli che darei anche a me stessa.


1. Siate curios*: è importante informarsi e sapere di cosa si parla perché non si può criticare né tantomeno decostruire ciò che non si conosce (quindi leggete Platone e Aristotele, mi raccomando!).

2. Entrate nell’ottica del pensiero della differenza e sfruttate a vostro vantaggio tutti gli stereotipi in cui vi sentite rinchius*, scomponendoli e ricomponendoli in varie e nuove combinazioni che raccontino chi siete: iniziate anche voi a costruire la vostra soggettività!

3. Non pensatevi come soggetti autonomi chiusi in se stessi, ma come soggetti che crescono e si arricchiscono attraverso la relazione con gli altri… in due parole: siate vulnerabili!



CONTRA/DIZIONI – Prospettive di filosofia femminista e queer