Qualche settimana fa giornali e telegiornali di tutto il mondo hanno annunciato il decesso di Lawrence Ferlinghetti, dicendo che con lui era morto “l’ultimo poeta della Beat Generation”.
Effettivamente l’artista potrebbe essere considerato tale, ma gli ideali che muovevano la famosa corrente letteraria americana hanno avuto un impatto così grande che vivono ancora oggi e continueranno a farlo anche dopo di lui. L’abbandono della propria realtà “borghese” per inseguire una vita on the road è quello spirito di ribellione che aleggia da sempre nella gioventù di tutte le generazioni. La Beat Generation, quindi, continua a esistere quando ci si sente bruciare di passione, quando si è insoddisfatti della propria vita, quando viene voglia di mollare tutto, quando si vuole coltivare la propria spiritualità. Jack Kerouac, William Burroughs, Allen Ginsberg sono i nomi più noti anche tra il grande pubblico: tutti uomini.
In realtà, il movimento includeva – più o meno direttamente – anche numerose donne, purtroppo molto meno conosciute.
Solo alcuni nomi sono Diane di Prima, Anne Waldman, Joyce Johnson e Joanne Kyger. Queste artiste, per quanto differenti tra loro, avevano in comune una grande capacità di guardare avanti ed emanciparsi. Spesso lo fecero lasciando le proprie famiglie e abbandonando lo stile di vita ordinario. Molte di esse furono poete, buddhiste e interessate alla filosofia zen; ci fu in loro una riscoperta di una spiritualità diversa da quella più comune tra le famiglie di origine e dalle religioni più diffuse tra la borghesia americana. Andiamo a conoscerle un po’,per avere uno spaccato di questo lato oscuro, ma affascinante, della generazione che rivoluzionò la letteratura americana – e mondiale! – per sempre.
Diane di Prima nacque nel 1934. Scrisse sin dall’età di 7 anni e già a 14 iniziò a fare la poeta a tempo pieno. Nel 1953 si unì alla comunità bohémien del Greenwich Village di Manhattan. Fu una beatnik non solo per il modo rivoluzionario di pensare, ma perché i suoi componimenti sembravano seguire il beat tipico dei ritmi e delle sonorità jazz, di cui parlava anche Kerouac. L’autrice fu sovversiva e lungimirante perché riuscì, senza remore, a parlare in modo schietto e diretto di sessualità, corpo, femminismo, classe e discriminazioni razziali (1). Giocò, inoltre, un ruolo fondamentale nelle lotte della body positivity e del movimento per la fat acceptance, del quale anche Filosofemme ha parlato qui e qui. Tra gli altri temi che l’autrice trattò, troviamo quello dell’aborto, in particolare nella poesia Brass Furnace Going Out.
Di Prima non fu solo femminista e non si batté solo per le donne, ma si dimostrò sempre contraria a qualunque tipo di discriminazione. Lottò tutta la vita per i diritti civili e lo fece, come lei, anche la nostra seconda donna beatnik: Anne Waldman.
Entrambe condivisero l’idea che la poesia e la parola siano vive e si debbano convertire in attivismo. Nacque nel 1945 nel New Jersey e coltivò sempre un interesse per la poesia e il teatro e dai 16 anni, tramite la collega Di Prima, si immerse nell’ambiente beat. Come quelle dell’amica, le sue poesie vennero influenzate dalla musica jazz e dal buddhismo, ma si distinse per la sua concezione multisensoriale dell’opera poetica: accanto alle parole, Anne puntava su una voce potente e viva, ma anche sulla gestualità e il movimento.
Ciò portò l’artista a confrontarsi anche con la musica, tanto da partecipare a un video di Bob Dylan, nonché con artisti nel mondo della danza e delle arti visive. Legata alla Beat Generation, la superò e si definì, infatti, una beat di seconda generazione, perché offrì una prospettiva alternativa rispetto ai colleghi uomini: operosa nell’Outrider experimental poetry movement, la sua azione di attivismo culturale mirava a supportare la poesia alternativa e sperimentale, imperniata sull’atto performativo della recitazione del testo scritto (2).
Gli uomini beatnik seppero raccontarsi, divennero leggendari, ma la “verità” su di loro fu svelata proprio da una donna, Joyce Johnson, che li seppe descrivere come più umani che mai. Grazie a lei, in particolare, il mondo conobbe anche gli aspetti più celati di Jack Kerouac.
Questa nostra terza artista è nota per aver narrato dalla propria prospettiva di “ragazza di Kerouac” il movimento beat. La scrittrice, però, non deve essere ricordata esclusivamente come compagna di, in relazione a lui. Fu, prima di tutto, un’autrice, che decise di fiorire da sola, di affrancarsi dalla famiglia e di trovare la propria indipendenza.
Negli anni pubblicò tre romanzi, un’inchiesta di giornalismo investigativo, tre memoir e una raccolta di lettere: la sua opera di debutto Come and Join the Dance, edita prima che il movimento beat divenisse un fenomeno culturale vero e proprio e in precedenza rispetto al blind date in cui conobbe Kerouac, è considerata la prima produzione appartenente ad esso scritta da una donna. Il nucleo fondante delle sue opere riguarda lo status della donna nella società, in particolare in relazione ai vincoli che derivano dalla differenza di genere, dando voce al silenzio in cui erano nascoste le parole femminili durante gli anni ‘50-’60
Insomma, Johnson si emancipò: forse non esplicitamente beatnik, lo fu, però, nei comportamenti e per la sua volontà di prendere la propria strada, accogliendo lo spirito di libertà del movimento (3).
La quarta e ultima donna della Beat Generation che analizzeremo è Joanne Kyger, che la propria strada la prese letteralmente.
Viaggiò in India, in Giappone, in Vietnam, a Singapore e a Hong Kong, non sempre sola, ma alla ricerca di sé e per approfondire la propria spiritualità. Nacque nel 1934 in California; precocissima, pubblicò la sua prima poesia a 5 anni e a 22 si trasferì a San Francisco. Qui conobbe la fervente scena culturale della città e i grandi nomi della Beat Generation.
La sua poesia fu influenzata dal movimento, ma il suo verso, il suo beat, non fu l’incalzante ritmo del jazz – come per Di Prima e Kerouac stesso – ma quello del respiro, a sottolineare la profonda ricerca in se stessa di se stessa. Anche Kyger non si definì mai propriamente beatnik, ma sono tanti i punti in comune con gli ideali e la poetica del movimento: la poesia che registra ogni fatto della quotidianità, l’amore per i viaggi e, soprattutto, l’interesse per il buddhismo, la meditazione e la spiritualità orientale (4).
Che sia un’analisi più intima o un’apertura verso nuove esperienze e orizzonti, che sia uno spiccato attivismo o ribellione verso i valori della società borghese americana, queste donne della Beat Generation rispecchiarono tutti i temi tipici del movimento.
Per una donna, essere beatnik è doppiamente significativo: se intraprendere un viaggio e una carriera in cui a essere rilevante non è la meta, ma la necessità di libertà e di denuncia sociale contro i ruoli paradigmatici, era rivoluzionario per gli uomini, che godevano però della libertà di poterlo fare senza ripercussioni, per le donne del dopoguerra costituiva una duplice lotta e una duplice conquista. Non solo diedero un contributo originale e personalissimo al movimento, ma anche alla società tutta, perché la loro ribellione e volontà di emancipazione furono ancora più profonde: in quanto donne ancora prima che beatnik, da sempre oppresse e messe a tacere dal paternalismo e dalla borghesia, incarnarono la necessità senza tempo di scardinare le sovrastrutture sociali patriarcali.
(1) https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a34517553/diane-di-prima-poetessa-beat-generation-morta/ e https://offthetracks.co.nz/r-i-p-diane-di-prima/
(2) https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a26139223/poetesse-beat-generation-anne-waldman-ame/ e https://thewire.in/uncategorised/anne-waldman-on-poetry-and-protest
(4) https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a25705498/poetesse-beat-generation-joanne-kyger/
immagini di copertina con utilizzo non commerciale. la redazione rimane a disposizione Joanne Kyger – Joyce Johnson by David Shankbone – Anne Waldman, photo by Gloria Graham taken during the video taping of Add-Verse – Diane di Prima
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