Tra femminismo e anarchia: la filosofia di vita della donna più pericolosa d’America

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Se a partire dagli anni Settanta la letteratura femminista ha contribuito a diffondere gli scritti di Emma Goldman e a far conoscere le sue idee a milioni di lettori e lettrici, è bene ricordare come la sua impronta anarcofemminista in passato l’abbia fatta apparire come una figura ambigua all’interno di entrambi i movimenti. 

Grande oratrice, attivista e militante, Goldman è sempre stata ritenuta troppo femminista per l’anarchismo e troppo anarchica e quindi violenta per il femminismo liberale bianco, che continuava la sua avanzata negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo.

Infatti, tra i principi cardine della sua filosofia troviamo la libera maternità e l’emancipazione della sessualità femminile, considerate questioni di secondaria importanza rispetto alla battaglia per la liberazione dei lavoratori e delle lavoratrici.

Allo stesso modo, la dura critica di Goldman verso il suffragio universale, che considerava «il nostro moderno feticcio» (1), l’ha portata spesso a essere vista come una nemica delle suffragiste che lottavano per il voto femminile. Lo sdegno che l’autrice provava verso una delle battaglie sociali più importanti del XX secolo ha una duplice motivazione, perfettamente in armonia con il suo essere anarcofemminista. Secondo Goldman il suffragio universale veniva concepito dalla mente umana come un diritto, ma in realtà rappresentava «una delle imposizioni più brutali» (2), un inganno che il sistema metteva a punto per far credere alle persone di essere libere di decidere della propria vita.

«Povero, stupido, libero cittadino americano! Libero di morire di fame, libero di vagabondare per le strade di questo grande paese, gode del beneficio del suffragio universale e, con quel diritto, ha forgiato le catene che gli penzolano dai fianchi. Il compenso che riceve sono rigide leggi sul lavoro che proibiscono il diritto di sciopero, di picchettaggio, in pratica qualsiasi cosa, eccetto il diritto di essere derubato dei frutti del proprio lavoro» (3).

In altre parole, attraverso il voto i lavoratori portavano a pieno compimento la loro schiavitù: credendo di esprimere la loro volontà politica, in realtà rafforzavano il sistema di coercizioni e divieti di cui erano vittime. È a questa altezza del discorso che si innesta la critica contro chi chiedeva che anche le donne fossero ammesse al voto.

Goldman sosteneva la parità tra i sessi, ma non vedeva come l’ingresso delle donne nella politica avrebbe potuto portare a un miglioramento della condizione generale di vita, cioè non credeva che le donne sarebbero riuscite laddove gli uomini avevano fallito (4).

L’aspetto interessante del suo antisuffragismo è la piega paradossalmente femminista che è riuscita a dargli: l’apertura della sfera politica alle donne non avrebbe condotto ad alcuno sviluppo positivo, perché le donne sono esseri umani, non creature soprannaturali in grado di rimediare a secoli di corruzione e di errori commessi dagli uomini al potere.

«Dato che la peggiore disgrazia della donna è stata quella di essere considerata o un angelo o un diavolo, la sua vera salvezza consiste nell’essere riportata sulla terra; vale a dire, nell’essere considerata un essere umano e quindi soggetta a tutte le follie e a tutti gli errori umani» (5).

Di qui la convinzione di doversi necessariamente «emancipare dall’emancipazione» (6), cioè di doversi disfare di quella finta libertà che ogni forma di governo promette ai propri cittadini. In questo l’anarchismo di Goldman è molto forte: per raggiungere una libertà autentica si deve fondare un nuovo ordine sociale privo di tutte quelle istituzioni che si basano sulla violenza e sul divieto.

L’ideale anarchico è realizzabile se si ha la forza sufficiente di abbandonare quei «tiranni interiori» (7), ovvero tutte quelle convenzioni etiche e sociali che limitano l’uomo e ne soffocano gli impulsi naturali (8).

Tornando alla critica del suffragismo universale, Goldman riteneva che, oltre a essere una rivendicazione che coincideva con il reclamare la continuazione del dominio, esso non potesse portare a un’emancipazione totale delle donne, ma soltanto parziale. L’aspetto che il movimento suffragista non considerava era quello della classe, ovvero la certezza che il diritto di voto sarebbe andato «a beneficio di un gruppetto di signore già proprietarie di beni, senza che vi [fosse] assolutamente alcun vantaggio per la grande massa delle lavoratrici» (9).

Affrontare la liberazione delle donne vuol dire affrontare anche il problema del dominio di classe: al contrario delle borghesi americane, le operaie dovevano conquistarsi la sopravvivenza con il lavoro, in quanto non possedevano nulla che non fosse il loro corpo. Questo elemento ha permesso a Goldman di fare un ulteriore passo e di spostare la propria critica su altri due punti fondamentali del suo pensiero: la prostituzione e il matrimonio.

Per quanto possano sembrare due mondi lontanissimi, prostituzione e matrimonio erano per l’anarchica due facce della stessa medaglia, due forme sociali di istituzionalizzazione del dominio maschile, entrambe determinate dalla necessità economica.

Le prostitute dell’epoca di Goldman erano perlopiù operaie, donne costrette a vendere il loro corpo non in quanto forza lavoro, ma in funzione sessuale per integrare il loro misero salario. Era quindi la condizione economica e sociale americana a spingere le donne a prostituirsi per sopravvivere, a diventare merci sessuali e in questo passaggio secondo Goldman la morale puritana americana aveva un ruolo fondamentale.

Quest’ultima si basava su un doppio standard che permetteva agli uomini di esprimere liberamente la loro sessualità, anche al di fuori del matrimonio, ma non autorizzava le donne a fare lo stesso.

Il desiderio sessuale femminile era legittimo solamente all’interno del matrimonio, dove era legato a un unico uomo e dove aveva scopo procreativo. Il matrimonio diventava per la donna un «contratto di convenienza» (10): non solo era socialmente considerato come il suo unico scopo, ma era l’unica via che aveva a disposizione per non diventare un oggetto sessuale alla mercé di molti uomini e poter sopravvivere economicamente.

Nonostante Goldman fosse molto critica verso l’istituzione del matrimonio e vedesse in esso una forma di sottomissione della donna, non ha approfondito nelle sue riflessioni la questione del dominio maschile.

Dal suo punto di vista il problema non erano i singoli uomini, ma il sistema a cui erano sottoposti, motivo per cui il separatismo (11), via scelta da molte suffragette, non avrebbe portato le donne a essere più libere. Il focus sull’individualità spesso ha portato la pensatrice russa a considerare ingenuamente donne e uomini come soggetti sottoposti a oppressioni molto simili, in cui l’unica prospettiva di liberazione era la rinuncia alle norme sociali. Se le donne volevano conquistarsi la libertà avrebbero dovuto lottare con le proprie forze, ribellarsi alla moralità puritana e non accontentarsi delle briciole che lo Stato avrebbe concesso loro.

Per Goldman l’anarchismo era prima di tutto una forma di libertà che andava praticata individualmente, nel quotidiano: l’abbandono del tetto coniugale, la diffusione delle pratiche di aborto illegale e contraccezione, il libero amore e la libera maternità erano battaglie fondamentali a cui ogni donna era chiamata a prendere parte.

Il grande merito di Emma Goldman è stato quello di aver arricchito il «meraviglioso ideale» anarchico con la lotta femminista e di aver schierato la libertà in ogni sua forma al fianco delle donne di tutto il mondo. 

Note  

(1) E. Goldman, Femminismo e anarchia, Ghezzano: Biblioteca Franco Serantini, 2022; a cura di Isabel Farah e Laura Gargiulo, p. 71.

(2) Ivi, p. 74.

(3) Ibidem.

(4) «Le donne australiane e neozelandesi possono votare e contribuire a fare le leggi. Le condizioni dei lavoratori sono forse migliori lì di quanto non lo siano in Inghilterra, dove le suffragette stanno portando avanti una lotta così eroica? Esistono lì condizioni di maternità migliori, bambini più felici e liberi rispetto all’Inghilterra? La donna non è più considerata un mero oggetto sessuale? Si è emancipata dalla doppia morale puritana, una per gli uomini e una per le donne? Nessuna, eccetto probabilmente la solita politicante da comizi di piazza, si azzarderà a dare una risposta affermativa a queste domande» (Ivi, p. 76).

(5) Ivi, p. 75.
(6) Ivi, p. 105.

(7) Ivi, p. 14. 

(8) È bene ricordare che le riflessioni politiche dell’autrice hanno come premessa un’idea positiva della natura umana, che viene corrotta/distorta in un secondo momento dal dominio che la società esercita sull’individuo.

(9) Ivi, p. 82.

(10) Ivi, p. 90.

(11) Il separatismo femminista è una pratica politica che prevede la rinuncia ad ogni relazione con gli uomini ed è mossa dalla convinzione che ogni contatto con il genere maschile, a causa della sua matrice sessista e patriarcale, limiti le donne in ogni aspetto della loro vita.

Bibliografia E. Goldman, Femminismo e anarchia, Ghezzano: Biblioteca Franco Serantini, 2022; a cura di Isabel Farah e Laura Gargiulo.